Mohamed Khaira Cisse (2003), Giacomo Zotti (2011), Riccardo Magherini (2014), Vincenzo Sapia (2014), Bruno Combetto (2014), Mauro Guerra (2015), Andrea Soldi (2015), Jefferson Jesus Garcia Tomalà (2018), Simone Di Gregorio (2023).
Morti durante l’esecuzioni di TSO.
Luigi Salvi (2005), Giuseppe Casu (2006), Renata Laghi (2008), Francesco Mastrogiovanni (2009), Paolo Agri (2018), Elena Casetto (2019), Wissem Abdel Latif (2021), Guglielmo Antonio Grassi (2021), Marco Crea (2024).
Morti legati a un letto di contenzione.
E tanti e tante altre ancora, che omettiamo solamente per motivi di spazio.
Di psichiatria si muore. Di psichiatria si soffre, anche duramente.
Dal 2005 come Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud abbiamo messo a disposizione un numero telefonico di accoglienza e ascolto. Le storie che sentiamo ogni giorno ci parlano di sofferenza, di impossibilità a aprirsi un varco tra le reti dello psicofarmaco, di controllo capillare, di ricovero coatto. Di obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate, delle relazioni e delle abitudini. Di contenzione fisica, di elettroshock. Di abuso psichiatrico.
La psichiatria rappresenta lo specchio del fallimento di almeno trent’anni di politiche sanitarie, che hanno reso i pronto soccorsi e gli altri reparti ospedalieri sempre più simili a catene di montaggio: tempi stretti, ricette e farmaci, questi ultimi obbligatori nei reparti e in tutte le strutture psichiatriche. Sempre di più a scapito di empatia e attenzione alle relazioni.
Mentre indiscriminatamente si taglia la sanità, la Regione Toscana prevede lo stanziamento di 5 milioni di euro per ampliare la già esistente REMS di Volterra, e ne apre una nuova a Empoli (2020). Tagli alla sanità ma più soldi per le REMS1 dunque, dove la figura dello psichiatra rappresenta un misto tra cura e custodia, responsabile della permanenza e della detenzione. Dove il reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, è legato indissolubilmente a pratiche e percorsi coercitivi, obbligatori e contenitivi.
Mentre indiscriminatamente si taglia la sanità la Regione Toscana continua a foraggiare con milioni di euro l’anno strutture come la fondazione Stella Maris, diffusa fra Pisa e provincia: presunto fiore all’occhiello della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza; sotto processo da anni per maltrattamenti ai giovani ospiti di una delle sue strutture (tra cui l’uso di “tappeti contenitivi”). Centinaia di gravissimi episodi registrati dalle telecamere in soli tre mesi che, comunque si concluda il processo, rimarranno nelle coscienze di chi li ha subiti e delle loro famiglie. E la Regione Toscana non si è neanche degnata di costituirsi parte civile. Anzi: continua a foraggiare la fondazione come e più di prima.
Anzi: ha assegnato alla Stella Maris (nel 2021, in piena bufera processuale) la sua più alta onorificenza, il Gonfalone d’argento.
Mentre la sanità italiana tutta ha sì bisogno di più soldi, di più investimenti, di maggiore attenzione per garantire il diritto alle cure per tutti e tutte, aldilà dello status sociale ed economico, la psichiatria italiana ha bisogno di tutt’altro.
Innanzitutto di un cambio di paradigma.
Perché non è possibile che, a quasi cinquant’anni dalla legge 180 (cosiddetta Basaglia), non abbia nemmeno provato a superare il modello fondato su meccanismi e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, isolamento, elettroshock, contenzione fisica, meccanica, farmacologica e ambientale. Perché almeno dal 1980 ha abbandonato le sperimentazioni di figure come Giorgio Antonucci e Franco Basaglia, che attuavano la chiusura dei manicomi, l’abolizione della coercizione fisica, la liberazione dei “pazienti”, il superamento della psichiatria. E ha abbracciato il paradigma bio-organicista aprendo la strada alla medicalizzazione e alla farmacologizzazione di massa. Perché si basa ancora sulla logica dell’istituzione totale e del manicomio, che si riproduce e si diffonde fino ai reparti e alle strutture.
In nessun caso la carenza di fondi, di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche violente e coercitive, né il silenzio con cui vengono accettate. Un concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, contrapposte ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria. |