Secondo la Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa, in Italia le forze dell’ordine sono solite ricorrere alla profilazione razziale, cioè alla selezione sistematica di controlli e fermi di polizia in base all’origine etnica. L’organizzazione internazionale composta da esperti indipendenti nominati dai governi dei quarantasei paesi membri ha diffuso un rapporto che si basa su «analisi documentali, un sopralluogo nel paese e un dialogo confidenziale con le autorità nazionali»: vi si sostiene che polizia e carabinieri italiani non paiono essere neppure «consapevoli» dell’entità del problema.
Le 48 pagine poggiano su «molte testimonianze» confermate anche dai documenti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Il racial profiling, sottolinea l’Ecri, «ha effetti notevolmente negativi», perché genera un senso di «umiliazione ed ingiustizia» per i gruppi coinvolti, provocando «stigmatizzazione e alienazione». La commissione suggerisce che le autorità sottopongano le pratiche di fermo e di controllo e perquisizione della polizia a un giudizio indipendente: «L’esame dovrebbe essere condotto con la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile e dei rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti alle pratiche di profilazione razziale». Poi insiste sulla necessità che gli uomini in divisa siano formati all’uopo. I funzionari delle forze dell’ordine dovrebbero conoscere «le pratiche che possono potenzialmente condurre alla profilazione razziale, con effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia, nonché per identificare modelli indicativi di razzismo istituzionale all’interno delle forze dell’ordine, in particolare nei confronti dei rom e delle persone non bianche o di origine africana».
Nel dossier si traccia un nesso col contesto politico-culturale più generale del paese: «Il discorso pubblico è diventato sempre più xenofobo – si legge nel documento – E il discorso politico ha assunto toni altamente divisivi e antagonistici prendendo di mira in particolare rifugiati, richiedenti asilo e migranti, così come cittadini italiani con contesto migratorio, rom e persone Lgbti. L’incitamento all’odio, anche da parte di politici di alto livello, spesso rimane incontrastato». Vi si cita, senza nominarlo direttamente, anche il caso del neo-eletto in Europa Roberto Vannacci: «Esempi recenti di dichiarazioni razziste e fobiche nei confronti delle persone Lgbti nella vita pubblica includono le osservazioni fatte in un libro pubblicato nel 2023 da un generale delle forze armate italiane». E ancora: «Nel loro percorso verso l’integrazione e l’inclusione, i migranti hanno sperimentato problemi concreti a causa della narrazione, sostanzialmente negativa, caldeggiata dalla classe politica. Anche le eccessive critiche rivolte a singoli giudici che si occupano di casi di migrazione mettono a rischio la loro indipendenza». Ma va anche detto che l’Ecri ha inviato il report alle autorità italiane, raccogliendone le osservazioni, che riporta in calce al testo. E che nelle sei pagine inviate da Roma sono commentate varie parti del rapporto, compreso il paragrafo sulla profilazione razziale. Nei commenti ci si limita a far sapere che «l’osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (che dipende dal Viminale) ha introdotto dal 2014 un focus specifico», nell’ambito delle attività di formazione, sui rischi connessi alla «profilazione discriminatoria».
Lorenzo Trucco dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che è tra i referenti del dossier e che segnala che si tratta di «una cosa molto seria» che «mette in rilievo delle inefficienze, delle arretratezze e arriva tramite un percorso molto dettagliato». Del resto appena venti giorni fa anche le Nazioni unite, in un documento del gruppo per il superamento del razzismo nel sistema poliziesco e giudiziario, sono arrivate a conclusioni simili circa la situazione del paese, il comportamento delle forze dell’ordine e le deportazioni in Albania.
Il rapporto non parla solo della questione del razzismo presente all’interno delle forze dell’ordine – tema particolarmente caldo anche alla luce dell’uccisione di Moussa Diarra, avvenuta lo scorso lunedì per mano di un agente di polizia – ma analizza in dettaglio nelle sue 48 pagine numerosi altri aspetti. Attraverso testimonianze raccolte e dati presenti in vari rapporti nazionali e internazionali, l’ECRI analizza il ruolo delle equality bodies nell’accesso e nella garanzia della parità di diritti, la diffusione dei cosiddetti discorsi e le violenze motivate dall’odio, i processi di “integrazione” delle persone migranti e rom nella società e, infine, il razzismo istituzionale, che si manifesta, non solo ma anche nella pratica di quella è definita a livello internazionale “profilazione etnica” da parte delle forze dell’ordine.
La violenza delle forze dell’ordine denunciata nel rapporto e di cui ampiamente si sta parlando – anche a seguito del poco interessante walzer di dichiarazioni degli esponenti del governo – rappresenta la punta dell’iceberg. Il rapporto svela, infatti, come il razzismo (e l’omolesbobitransfobia) istituzionale presente in Italia contribuisca a un problema sistemico ancora irrisolto. Il carattere strutturale e sistemico del razzismo si manifestano tanto nella propaganda politica e istituzionale, quanto nelle leggi, nell’operato delle amministrazioni pubbliche, nelle narrazioni mediatiche e nella costante difficoltà nel coordinare a livello nazionale le azioni di prevenzione e di contrasto al razzismo.
Purtroppo, questo problema ha radici profonde, che risalgono indietro nel tempo ben oltre i cinque anni coperti da questo sesto rapporto dell’ECRI, si inseriscono in una lunga storia, ben documentata da un’ampia bibliografia di riferimento.
Anche il Rapporto dello International Independent Expert Mechanism to Advance Racial Justice and Equality in Law Enforcement – gruppo delle Nazioni unite per il superamento del razzismo nel sistema poliziesco e giudiziario – condanna fortemente il comportamento dell’Italia.
Nel maggio 2024 il gruppo di esperti Onu ha visitato il nostro paese, le sue prigioni e i suoi Cpr, ha parlato con parlamentari, operatori istituzionali e associazioni: queste visite sono finalizzate a fare il punto sulle pratiche discriminatorie e razziste nel campo del law enforcement, con attenzione alla popolazione afrodiscendente, e soprattutto alla valutazione delle politiche italiane mirate a contrastare queste pratiche, nonché alla loro rispondenza agli standard internazionali.
Prima di arrivare a una analisi delle pratiche discriminatorie e razziste riguardante le polizie, i tribunali e le carceri, il rapporto delinea un contesto generale di «razzismo sistematico e discriminazione razziale in diversi ambiti della società» e di «pratiche discriminatorie all’interno delle istituzioni pubbliche», con un’enfasi contro le comunità afrodiscendenti. Che si tratti di hate speech (anche da parte di esponenti politici), di leggi restrittive (come quelle sull’immigrazione) che creano vulnerabilità e espongono alla violazione dei diritti umani fondamentali, di barriere nell’accesso al welfare o di sovra-detenzione degli stranieri, ci sono tre elementi trasversali su cui si basa la bocciatura dell’Italia.
Nel campo del law enforcement, il Rapporto sottolinea un retaggio culturale che «continua a influenzare le pratiche di polizia, contribuendo a una sistematica profilazione etnica e a pratiche discriminatorie», contro cui la formazione degli agenti si dimostra, nel merito, assente.
Questo incide pesantemente sulla sovra rappresentazione degli stranieri, in particolare afrodiscendenti, tra i fermatə, i perquisitə, i denunciatə, gli arrestatə e gli incarceratə. La profilazione etnica da parte delle polizie viene denunciata dal Rapporto come “praticata in modo sistematico”, con la conseguenza anche di costruire un rapporto di sfiducia con le istituzioni e le polizie stesse. All’Italia manca, secondo l’Onu, un chiaro quadro normativo sui limiti nell’uso della violenza, e manca anche – unico paese dell’Unione europea – un ente non giudiziario, interno alle polizie, che rilevi le pratiche razziste e discriminatorie.
Sotto osservazione anche gli hot spot per i migranti, i respingimenti dei minori stranieri, e le attività di profiling e repressione correlate alle politiche delle droghe: un tema, questo, ripreso più volte dalle agenzie delle Nazioni unite, su cui il Rapporto – anche grazie ai rapporti-ombra di Forum Droghe, Harm Reduction International, Società della Ragione e altri – insiste, denunciando le condotte delle polizie italiane ai danni degli stranieri. Non mancano infine due pressanti inviti: contro la deportazione in Albania e contro l’intento di abolire o mitigare il reato di tortura. |