Più di cento pagine di racconti dell’orrore. È “Chiusi in gabbia: viaggio nell’inferno del Cpr di Ponte Galeria”, il rapporto della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), presentato a Roma a inizio novembre per, racconta l’avvocata Federica Borlizzi, “denunciare le condizioni indegne di detenzione del Centro per i rimpatri che si trova nell’estrema periferia romana”.
Attivo dal 5 agosto del 1998, è l’unico ad avere anche una sezione femminile in tutta Italia. In 26 anni di vita la struttura non è stata mai chiusa. Eppure le violazioni, sanzionate dalla stessa prefettura, non mancano. Celle di pernotto di 20 metri quadrati in cui dormono fino a otto persone su materassi buttati per terra senza reti, sovraffollamento, nulla da fare, il tempo che diventa ulteriore afflizione. E condizioni igienico-sanitarie “vergognose”. “Un ragazzo ci si è avvicinato con una dermatite evidente, aveva la scabbia. Ha dormito per mesi sul materasso fuori, perché i compagni di cella avevano il timore di essere contagiati”.
La multinazionale elvetica Ors si aggiudica l’appalto per la gestione del centro per il triennio 2021-2023 per oltre sette milioni di euro (nonostante sia, nota il rapporto, “priva dell’informativa antimafia”). Il contratto tra la prefettura della capitale e Ors Italia è oggetto di una proroga fino al 31 ottobre 2024. Ma, non essendo ancora stata definita la nuova gara d’appalto, “appare ipotizzabile che Ors continuerà, ancora per i prossimi mesi, a gestire il centro romano”.
Il suicidio di Ousmane Sylla, la morte di Wissem Ben Abdellatif: sono tante le storie che Cild ha raccolto. Come quella di una donna che, entrata nel Cpr in estate, per settimane è rimasta solo con un pigiama invernale e un rotolo di carta igienica. Il capitolato d’appalto prevede 16 ore settimanali di assistenza normativa e legale. Un numero insufficiente per gli oltre cento posti del centro, e che comunque sembra non essere onorato. La prefettura di Roma ha sanzionato Ors per 100mila euro per non aver rispettato la dotazione minima di personale prevista dal capitolato d’appalto. “Sanzioni pecuniarie che sono nulla dinanzi a Ors che è una multinazionale, un colosso dell’accoglienza e del trattenimento in tutta Europa”.
Da tempo la società civile chiede la chiusura del Cpr di Ponte Galeria. “Abbiamo chiesto che venga istituita una commissione di inchiesta che porti prefettura, questura, la Asl Roma 3 e l’ente gestore a rendere conto di quello che fanno dinanzi al Campidoglio, per coinvolgere la cittadinanza e far comprendere che c’è un lager in questa città”. Tra le richieste c’è quella dell’immediato svuotamento della sezione femminile di Ponte Galeria. “Cinque posti in tutta Italia. L’abbiamo ridenominata la ‘lotteria infame’”, dice Borlizzi.
Cinque donne isolate, spesso con storie di violenza alle spalle, vittime di tratta, ex collaboratrici domestiche che hanno perso il permesso di soggiorno. Finora, nel 2024, dal Cpr di Ponte Galeria sono passate 675 persone trattenute. Di loro 50 sono donne. In tutto il 2023 erano state 45. “Stiamo assistendo a un aumento e rafforzamento della detenzione femminile”, aggiunge ancora Borlizzi.
La distopia raggiunge l’apice per colei che si fa chiamare Giovanni e viene registrata come Camelia. Le autorità italiane non sanno neanche da dove venga (e dove dovrebbe essere rimpatriata?), non si fa avvicinare. Per nove mesi resta in isolamento nel Cpr di Ponte Galeria, “nonostante fosse totalmente incapace di intendere e di volere”. Per tre volte la questura di Roma chiede per lei la proroga del trattenimento e per tre volte un giudice di pace la accorda. Esce solo in seguito a una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani che parla di “logica manicomiale” per il Cpr. E comincia un percorso di cura, mentre, si scoprirà, “tanto per rendere ancora più distopica la sua storia”, dice Valentina Muglia di Cild, che Giovanni è una cittadina dell’Unione europea. Altro che Cpr.
In 26 anni di vita mai nessun sindaco o sindaca è entrato qui. Ha promesso di farlo l’attuale primo cittadino Roberto Gualtieri. A lui si rivolge ora un’istanza, firmata da una quarantina di personalità accademiche, per fare propria l’azione popolare per la chiusura del Centro per i rimpatri. “Il Comune ha potere di intervento per arrivare alla chiusura e abolizione totale del Cpr -spiega Gennaro Santoro, avvocato e autore dell’istanza-. È contrario all’identità della città di Roma e al suo statuto fondato sui diritti costituzionali. Non si rispettano i diritti minimi della persona ed è gestito da privati senza regole: non sono previste neanche le tutele minime del carcere”.
Gualtieri ha tempo fino al 15 dicembre per agire sul ministero dell’Interno per quanto di competenza del Comune, c’è un precedente analogo che negli anni scorsi ha visto un’iniziativa simile a Bari. Secondo ActionAid, nel 2023 il Cpr romano ha visto il 23% di rimpatriati e ben il 53% di persone liberate dai giudici. Il governo guidato da Giorgia Meloni ha aumentato i fondi dedicati ai Cpr ed esteso i tempi massimi di permanenza a 18 mesi.
“Una specie di rassicurazione per la collettività: li teniamo più a lungo per essere sicuri di rinviarli nei loro Paesi”, conclude Mauro Palma, già garante nazionale delle persone private della libertà personale e firmatario dell’appello a Gualtieri. “Non è vero: in otto anni, da garante, mi sono accorto che si oscilla tra il 48% e il 52% di rimpatri. E o si riesce a rimpatriare presto oppure non lo si fa più. L’altra metà riceve un foglio di via e resta sul territorio da irregolare. Ai margini. Vuol dire solo lanciare un messaggio basato sulla sofferenza delle persone”. |