Il gip di Mantova, competente per territorio, ha archiviato la querela presentata da tre dei poliziotti condannati in primo grado per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Nella dichiarazione contestata, resa ad un’agenzia di stampa e ripresa da un quotidiano locale il 5 luglio 2008, Patizia Moretti confrontava il caso Aldrovandi con quello, analogo, di Riccardo Rasman, concludendo: «Noi, io e Giuliana, la sorella di Riccardo, non consideriamo quelle persone come rappresentanti delle istituzioni, ma solo come delinquenti». Alla data di quell’intervista l’istruttoria era già in fase avanzata, ha spiegato il gip nelle motivazioni della sentenza, e c’erano già «molteplici prove del fatto che l’intervento operato dai poliziotti era stato caratterizzato da un uso della forza assolutamente eccessivo e sproporzionato rispetto alla finalità di bloccaggio dell’Aldrovandi che doveva essere perseguita». Quindi, a prescindere dai prossimi gradi di giudizio (il processo d’appello inizierà per il 17 maggio prossimo), quella della madre di Federico è una «manifestazione di pensiero perfettamente lecita». Federico Aldrovandi fu fermato dai tre poliziotti che avevano presentato la querela, tutt’ora in servizio, e dalla loro collega, all’alba, di ritorno da una serata di divertimento a Bologna, e furono le ultime persone che vide prima di morire, il volto tumefatto e il corpo pieno di lividi. Asfissia posturale, dice la sentenza di primo grado: dopo una colluttazione, violenta al punto che i manganelli dei poliziotti si spezzarono, lo ammanettarono costringendolo a terra prono, di peso. Gli mancò l’ossigeno e morì.
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