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“Daspo fuori contesto”, curve di nuovo al centro di una sperimentazione repressiva

 

FONTE:Contropiano

 

“Daspo fuori contesto” l’ultimo strumento giuridico divenuto operativo contro il tifo organizzato

 

Cos’è il “Daspo fuori contesto”

La misura, introdotta nel 2019 e legittimata da una sentenza della Cassazione nel 2021, impedisce l’accesso agli impianti sportivi ai soggetti responsabili nell’ultimo quinquennio di alcune tipologie di reati, anche se realizzati fuori da un impianto o da un contesto sportivo.

Tali reati comprendono quelli connessi allo spaccio di droga o al possesso di armi, contro il patrimonio o la persona, ma anche – attenzione n.1 – per incidenti di piazza (atti contro l’ordine e l’incolumità pubblica).

Inoltre, per la legittimità del provvedimento, non è necessaria la condanna del soggetto, ma – attenzione n.2 – basta la denuncia per uno dei reati indicati nel dispositivo. In questo caso, ad essere sanzionata sarebbe la “presunta” responsabilità del soggetto, a cui può essere impedito di accedere alle manifestazioni sportive o a una zona della città, come previsto dal “daspo urbano”.

Una misura sempre più impiegata dalle questure

Il “daspo fuori contesto” sta conoscendo un’impennata di popolarità tra le questore delle maggiori città del Paese.

Il 15 ottobre 2024, a Padova la misura è stata emessa contro 10 tifosi, di cui sei minorenni, per una durata da uno a tre anni ciascuna, a causa della loro pericolosità sociale, definita in base ai precedenti.

Il 30 dicembre, a Bologna il provvedimento è scattato contro 3 tifosi per aver partecipato alla difesa del parco Don Bosco, oggetto di un’operazione di speculazione edilizia da parte del Comune guidato da Matteo Lepore (Pd).

Il 5 febbraio 2025, a Como la misura ha colpito 9 tifosi, di cui tre minorenni e un egiziano.


L’ultimo caso di Roma

In ultimo, il 7 febbraio la stangata è arrivata per 16 tifosi, provenienti dalle province di Milano, Roma, Caserta, Napoli, Avellino e Salerno, “resisi responsabili con reiterazione della violazione delle norme che vietano comportamenti apologetici del fascismo”.

I soggetti, si legge nella nota della Questura di Roma, “sono tutte persone denunciate negli ultimi due anni in occasione della commemorazione di Acca Larentia”. Tre dei provvedimenti hanno una durata di sei anni con obbligo di firma, per gli altri varia da uno a due anni.


La pericolosità del provvedimento

Ma oltre al caso in questione, il “salto di specie” del provvedimento emerge nel giudizio sulla pericolosità del soggetto: questa può essere sganciata dalla certezza del fatto compiuto per essere spostata sull’unico presupposto della denuncia, bastevole per sancire il rischio per l’ordine pubblico.

Traslando questa visione dallo stadio alle piazze o ai quartieri popolari, come spesso è avvenuto con le sperimentazioni che hanno interessato il tifo organizzato, l’ennesimo dispositivo repressivo manifesta tutta la sua pericolosità per l’espressione del dissenso e delle lotte sociali, come avviene con il Ddl 1660.

“Oggi per gli ultras, domani in tutta la città”

Pertanto, non sorprende – attenzione n.3 – che, scrive la Questura di Roma, “sono in valutazione le posizioni di oltre 200 soggetti resisi responsabili di altre ipotesi delittuose […] già denunciate per reati connessi alla droga, risse ed altri episodi di violenza nonché per incidenti di piazza, che li hanno visti coinvolti, non da ultimo, lo scorso 11 gennaio a San Lorenzo” (manifestazione contro l’assassinio di Ramy da parte dei Carabinieri).

L’equivalenza è presto fatta, protestare in piazza diviene una “ipotesi delittuosa”, per cui meglio evitare che tali soggetti possano operare in uno dei pochi ambiti di massa rimasti nella società, com’è uno stadio o un palazzetto.

Questo è il motivo per cui soprattutto gli stadi di calcio sono diventati un terreno privilegiato della sperimentazione repressiva operata contro il tifo organizzato, dai tornelli stile carcere al biglietto nominale fino all’ultima trovata del riconoscimento facciale.

“Leggi speciali, oggi per gli ultras, domani in tutta la città”, si scriveva negli anni Ottanta, allora meglio provare a trasformare lo sport in uno strumento di propaganda, con scarsi risultati evidentemente.

La vera paura di chi governa

Le curve e i settori popolari non sono che l’espressione di quello passa tra le strade di un territorio, con tutto il suo portato di contraddizioni e difficoltà. Di certo non il rifugio degli angeli, ma neanche il parco giochi dei diavoli, come viene rappresentato nei media mainstream.

Oggi, la paura di chi governa e dei pennivendoli al loro servizio è la presa di coscienza da parte della popolazione di chi la sfrutta, la deruba e in ultimo la reprime.

Per loro, le voci del dissenso organizzato allora devono stare fuori dalle curve, sia mai che migliaia di persone, tutte insieme, possano riconoscersi in una parola che grida al cambiamento. Anzi, che si alzino i prezzi dei biglietti e si trasformino gli stadi in un teatro moderno! Seduti, buoni e muti… e applausi a comando.

 

Federico Rucco