2021. Ion Nicolae, all’epoca quarantottenne, è in carcere, vivendo da tempo in una condizione di isolamento totale e solitudine. È privo del supporto di parenti vicini, una situazione che ha contribuito all’emissione di un provvedimento per il suo rimpatrio in Romania. Nicolae però, dopo anni di detenzione a Verona, aveva ottenuto la semi-libertà, intraprendendo un percorso di reinserimento sociale. A fine dello scorso anno, al momento della scadenza del suo contratto di lavoro, è stato prelevato dalla sua abitazione, dove viveva insieme alla compagna e trasferito a Verona, per poi finire al carcere di Rebibbia di Roma, in attesa di essere rimpatriato. Ha dovuto interrompere così, bruscamente, il suo cammino di lento rientro alla vita.
La storia di Nicolae è segnata da sofferenze profonde. In un momento di estrema disperazione, a Rebibbia, ha ingerito delle batterie, richiedendo un intervento d’urgenza che gli ha salvato la vita. Eppure ha dimostrato grande determinazione nel tentativo di ricostruirsi una vita migliore. Lui e la sua compagna si trovano ora ad affrontare una nuova difficoltà: il loro matrimonio, previsto per il 12 febbraio a Verona, rischia di non poter essere celebrato a causa del trasferimento. Quel matrimonio rappresenta un passo importante verso la stabilità, oltre che un progetto di vita comune. A Verona, gli avvocati Francesco Spanò e Simone Giuseppe Bergamini hanno presentato una richiesta urgente per sospendere e revocare il trasferimento di Ion Nicolae, cittadino rumeno, detenuto con fine pena previsto per il 2027. Quando è è stato trasferito al carcere di Rebibbia, la sua difesa non era stata informata. “Il trattamento riservato a Ion Nicolae è disumano e kafkiano”, denunciano gli avvocati, sottolineando come al loro assistito non sia stata garantita un’adeguata informativa sui suoi diritti e sulla decisione di trasferimento, violando così il suo diritto alla difesa.
Chi conosce Nicolae, a cominciare dai suoi avvocati, è preoccupato per le gravi conseguenze sul benessere psicofisico dell’uomo, incluso il rischio di atti di autolesionismo, che potrebbe comportare questa decisione. La sospensione e la revoca del trasferimento sono stati chiesti affinché l’uomo possa scontare il residuo della pena in Italia. “Nicolae sta per sposarsi con una cittadina italiana e ha ricostruito la sua vita sui binari della legalità, richiedendo misure alternative alla detenzione”, spiegano gli avvocati. “In Romania non avrebbe la possibilità di esercitare tali facoltà”.
Il diritto al matrimonio è sancito dall’articolo 29 della Costituzione, da trattati internazionali come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articolo 8) e la Dichiarazione universale dei diritti umani. Per i detenuti il matrimonio rappresenta un elemento essenziale per il recupero di un benessere personale e sociale. Negare questa opportunità a Nicolae significa violare un diritto fondamentale e interrompere un progetto di vita. Tuttavia, il caso di Nicolae non è isolato, anzi mette in evidenza un problema più ampio legato al diritto all’affettività per i detenuti. Nel gennaio 2024, la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 10/2024, ha riconosciuto il diritto dei detenuti a vivere momenti di intimità con i propri cari, includendo i legami affettivi e sessuali. Tuttavia questa sentenza, sebbene importante, si scontra con una realtà carceraria che non dispone (né si predispone a farlo) delle strutture adeguate per rendere effettivi tali diritti. La mancanza di spazi adeguati e il sovraffollamento degli istituti compromettono la possibilità di costruire e mantenere relazioni significative, fondamentali per l’equilibrio psicologico e il reinserimento sociale. Tali legami, invece, sono riconosciuti come elementi essenziali per il recupero e la riabilitazione. Nel caso di Nicolae, se l’uomo venisse rimpatriato in Romania, le conseguenze sarebbero molto gravi. Le condizioni delle carceri rumene sono ancora peggiori di quelle italiane: lo spazio vitale per detenuto è spesso inferiore ai due metri quadrati, violando standard minimi di dignità. Inoltre, sono stati ripetutamente riconosciuti maltrattamenti e abusi fisici, tra cui la pratica brutale della “falaka,” che consiste nel colpire violentemente la pianta dei piedi del prigioniero. Nicolae, già emotivamente fragile a causa del suo passato e degli episodi di autolesionismo, rischierebbe di trovarsi in una situazione ancora più critica.
Questo trasferimento, oltre a violare i diritti processuali di un detenuto, rappresenta un esempio emblematico delle difficoltà che il sistema penitenziario italiano, strutturalmente violento e ingiusto, riscontra di fronte al tema del rispetto della dignità umana. La vicenda di Nicolae richiama l’urgenza di tradurre in pratica principi base che sono sanciti dalla legge, come garantire ai detenuti il diritto al matrimonio e alla sfera affettiva. Investire in strutture adeguate, come spazi per i colloqui intimi, non deve essere considerato un privilegio, ma una componente fondamentale di un sistema penitenziario che ponga al centro la dignità della persona. Offrire ai detenuti la possibilità di mantenere legami affettivi è un passo indispensabile, a patto che il recupero sociale non voglia essere solo una promessa mancata, ma una realtà concreta. |