Cercare di svegliarsi dall’anestesia mediatica propinata a ciascun cittadino italiano che guardi la TV o legga un giornale (uno qualsiasi) è la vera sfida dell’era moderna. E forse basterebbe soltanto guardarsi indietro, riconsiderare la storia del Nostro Paese e osservarla con gli occhi di un popolo, di una categoria, che sta vivendo un’emergenza democratica. Non nascondiamoci dietro i linguaggi aulici o, peggio ancora, dietro i simboli di partito: le nostre libertà di pensiero e di circolazione, i nostri "diritti inviolabili" si trovano nella morsa di una compressione che rischia di diventare irreversibile. E questo fenomeno è tanto piu’ evidente nell’ambito che maggiormente ci appassiona, quello dello stadio, del tifo, del calcio. La settorialità di questo ambito non deve assurgere a palliativo per ridimensionare l’emergenza di cui si parla, anzi; il fatto che i meccanismi di repressione delle nostre libertà fondamentali siano così evidenti proprio in una fetta così piccola ma così importante della vita sociale, vale ad amplificare il suono della sirena d’allarme della collettività. Lo stadio ERA uno dei luoghi in cui piu’ che in altri poteva trovare esplicazione la libertà di pensiero; e adesso c’è Qualcuno che decide chi deve/può andarvi, cosa si può recare con sé, quando si deve entrare e quando si deve uscire e, cosa ancora piu’ grave, cosa si può dire/scrivere all’interno di questo luogo. E tutto ciò (anche a partire dalle diciture di talune leggi) viene spudoratamente spacciato come meccanismo assolutamente irrinunciabile per salvaguardare la sicurezza di ciascuno di noi... e mentre i signori della politica si preoccupano di come farci stare tranquilli e sicuri agli stadi(!), un poliziotto spara a braccia tese verso un tifoso (sì, verso un tifoso, non verso un ragazzo qualunque) come uno sceriffo nel Far West uccidendo in un sol colpo quel tifoso, la serenità della sua famiglia e soprattutto i barlumi di speranza democratica che questo Paese poteva ancora avere. E poi, la solita procedura: per una settimana circa prime pagine su giornali e telegiornali, accesi dibattiti nei salotti della seconda serata dei palinsesti televisivi, e poi il nulla. Anzi, il peggio: un evento così tragico, un OMICIDIO, viene vergognosamente strumentalizzato per introdurre altri meccanismi repressivi, altre limitazioni/compressioni dei nostri diritti fondamentali, cercando di farle sembrare normali, addirittura necessarie. In sede di redazione del Progetto di Costituzione Italiana, la Commissione dei 75 introdusse al 2° comma dell’art. 50 la disposizione in base alla quale "quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino". L’assemblea Costituente scelse di non inserire questa norma nel testo definitivo della Costituzione, ma il diritto di resistenza deve ritenersi assolutamente vigente del nostro ordinamento, malgrado il silenzio del testo costituzionale. Infatti, la scelta di non inserire tale diritto nel testo costituzionale risponde solo all’esigenza di non disciplinare preventivamente un qualcosa che, per sua stessa natura, si atteggia caso per caso, e non può essere incasellato in caratteristiche predeterminate. Il "diritto di resistenza all’oppressione" è legittimato dal principio di sovranità popolare (asse portante dell’intero ordinamento), ne è una conseguenza inevitabile; se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, il principio di sovranità popolare rimarrebbe una formula vuota, priva di significato. Inoltre, anche qualora, per assurdo, il diritto positivo vietasse l’esercizio del diritto di resistenza, la violazione della Costituzione da parte dei pubblici poteri legittimerebbe la disobbedienza dei cittadini alle norme che vietano la resistenza, al fine di garantire e salvaguardare le libertà fondamentali violate. Inoltre l’art. 54 della Costituzione impone il dovere di fedeltà alle disposizioni costituzionali: non quindi alle leggi singolarmente intese, ma alla Costituzione, ai suoi principi, ai diritti in essa stabiliti. Ciò significa che, in nome del dovere di fedeltà alla Costituzione, si ha il diritto/dovere di non obbedire passivamente a tutti gli atti normativi in contrasto con essa. Pertanto, quando il Governo, o il Parlamento, o qualsiasi Istituzione dotata del potere di emanare atti normativi, compiano deliberatamente atti di eversione dell’ordine costituzionale, o tentativi di repressione di diritti costituzionalmente garantiti, la resistenza è un dovere, prima che un diritto ed è sempre legittima: sia in forma individuale, sia in forma collettiva, sia in forma attiva, sia in forma passiva. Non bisogna aver paura di esercitare un diritto. E la resistenza è un diritto, oltre che un dovere. E’ uno dei pochi strumenti attribuiti al popolo, e incontrollabile da parte degli organi statali, per garantire il rispetto della Costituzione e delle nostre libertà fondamentali. In diversi ordinamenti europei e non, poi, la resistenza è esplicitamente prevista e assolutamente vigente: - Dichiarazione degli Stati Uniti d’America (1776): "Allorché una lunga serie di abusi e di torti tradisce il disegno di ridurre l’umanità ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo"; - Art. 2 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789): "Lo scopo di ogni società è la conversazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà e la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione"; - Art. 147 Costituzione del Lander dell’Assia (1946): "La resistenza contro l’esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito è diritto e dovere di ciascuno"; - Art. 19 Costituzione del Lander di Brema (1947): "Se i diritti dell’uomo stabiliti dalla Costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la resistenza di ciascuno è diritto e dovere". Questo però non si dice in TV e non si scrive sui giornali. Svegliamoci.
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