Almeno venti carabinieri, tra ufficiali e sottufficiali, hanno sistematicamente violato le norme sulle operazioni antidroga sotto copertura, trasformandosi in trafficanti e raffinatori di stupefacenti. Arresti obbligatori di latitanti sono stati omessi, falsificando regolarmente i rapporti all'autorità giudiziaria. In questa storia i conti vanno fatti in lire: centinaia di milioni in contanti, frutto di sequestri durante le operazioni, sono stati sottratti alle regole della confisca per essere riciclati. No era un'associazione a delinquere armata per spacciare droga a livello internazionale e per fabbricarsi carriere gloriose nelle pieghe di quella sorta di "secondo lavoro" ma il loro comandante, secondo il tribunale di Milano, il Generale Ganzer ieri comunque è stato condannato a 14 anni dall'ottava sezione penale per le irregolarità di quelle operazioni antidroga attuate con l'aiuto di un magistrato bergamasco, oggi a Brescia e che sarà processato a parte. Un processo lunghissimo e semiclandestino per fatti che risalgono a un arco di tempo che, dal '91, arriva al '97 e prova a far luce sull'attività di venti manovali in divisa agli ordini del noto ufficiale dell'Arma su cui, come da copione, si cuce la stima e la fiducia di statisti del calibro di Maroni Roberto, titolare del Viminale e di strateghi come Federici Luigi, comandante generale della Benemerita negli anni in cui, secondo i giudici, operava l'associazione a delinquere. Entrambi pronti a giocarsi la testa. La decenza vorrebbe che si attendesse il tempo necessario a leggere le motivazioni della sentenza. Ma la decenza non alberga in certi ambienti come dimostra la recentissima pioggia d'affetto che ha avvolto un altro condannato eccellente, il capo della polizia all'epoca del G8 2001, De Gennaro, oggi capo di tutti i servizi segreti. E i servizi c'entrano anche stavolta: tra i condannati spicca il nome di Mauro Obinu, ieri all'Arma, capo della sezione antidroga del Ros, oggi all'Aise (l'agenzia informazioni e sicurezza esterna, ex Sisde). Per Ganzer 14 anni, s'è detto (ma la pm Luisa Zanetti ne aveva chiesti 27) e 65mila euro di multa. Per Obinu 7 anni, 10 mesi e 35mila euro. 13 anni e mezzo e 59mila euro per l'ex sottufficiale Gilberto Lovato. Tra i 18 imputati solo tre sono andati assolti. Soddisfati i difensori per la cancellazione del reato associativo. Non più un'associazione a delinquere ma un «insieme di ufficiali e sottufficiali in combutta con alcuni malavitosi». Dunque questi carabinieri, anche d'alto rango, hanno forzato le regole per fabbricarsi carriere, visibilità e prestigio e le sostanze che raffinavano e vendevano si sono "perse" nel mercato dei clan. Ricapitolando: agli inizi degli anni '90, l'Arma decide di sperimentare metodi nuovi nel contrasto al narcotraffico immaginando per alcuni agenti sotto copertura dei limiti più ampi di quelli in vigore. Si possono infiltrare, possono ottenere di ritardare i sequestri di sostanze, salvare i pesci piccoli per acchiappare quelli più grossi. E' su questa libertà operativa che Ganzer mette a punto il "metodo" che rivendica anche alla luce di questa sentenza. Sono anni in cui il Ros agirà con carta bianca prendendo contatti con narcos colombiani e libanesi, ordinando e comprando "roba" da loro con fondi neri, soldi sequestrati di cui veniva omesso il sequestro, poi quella droga veniva raffinata in proprio e se ne curava in proprio lo smercio. Più che infiltrazioni sarebbero istigazioni a compiere reati. L'unica cosa a contare era la fabbricazione di operazioni eclatanti: Operazione Cedro, Operazione Lido, Operazione Shipping, Operazione Hope e poi Cedro Uno. 502 milioni di lire e 65 chili di stupefacenti di cui si perdono le tracce. Non si può fare a meno di pensare a un'altra eclatante fabbricazione dei Ros: i fascicoli contro gli attivisti del Sud ribelle sui quali si voleva imbastire il tremendo reato di cospirazione. Missione compiuta quando un controverso pm cosentino ha accettato quei dossier ma fallita quando i giudici hanno mandato assolti tutti gli imputati. Il 20 luglio finirà anche il processo d'appello al Sud ribelle. Si torni al processo Ganzer. Naturalmente, il dispositivo letto in aula prevede l'interdizione dai pubblici uffici. Non luogo a procedere, invece, per l'accusa di traffico di armi. Il capo di imputazione, prescritto, riguarda l'importazione dal Libano di 4 bazooka, 119 kalashnikov, 2 lanciamissili e centinaia di proiettili nel dicembre 1993 e la loro cessione nel maggio 1994 a una cosca calabrese che, poco dopo lo scambio di denaro, se li è vista sequestrare dagli stessi carabinieri. Con i militari è stato condannato il loro maggiore confidente, soprannominato «Fonte trafficante». Secondo il pubblico ministero Luisa Zanetti, anche se i giudici hanno ritenuto inesistente l'associazione per delinquere contestata ai carabinieri, la condanna di Ganzer per i singoli episodi di traffico di droga attesta che ha avuto un ruolo attivo, organizzativo e direttivo. Le operazioni antidroga che hanno portato alle condanna di Ganzer sono la «Cobra» e la «Cedro 1».
Tutto quello che non si scrive sulla condanna... Rinasce la P3 , il solito Dell’Utri, il coordinatore di Forza Italia, il vecchio faccendiere Carboni. Siamo abituati. Un po’ meno al fatto che un generale dei carabinieri, capo dell’ineffabile Ros, sia duramente condannato a 14 anni in primo grado per aver messo in piedi una rete che acquista cocaina in Colombia per far meglio carriera. Il generale Ganzer non ha fatto un piega. Aspetta le motivazioni di una sentenza del processo meno raccontato dai media italiani. Eppure i protagonisti e i fatti meritavano approfondimenti. Ma oggi nel Belpease chi si mette a scrivere delle ombre del reparto operativo più osannato nella lotta al crimine?A Milano hanno condannato anche ufficiali e sottoufficiali del Ros e un alto generale. Si chiama Mauro Obinu. Vice di Ganzer. Ma anche imputato in altri processi poco raccontati. A Palermo fa coppia sul banco degli imputati con il generale Mori. Sono accusati di non aver catturato Binnu Provenzano. In quel periodo attraverso i Ciancimino avevano avuto anche il mandato di trattare con Cosa Nostra invece di pensare ad arrestare boia e mandanti delle stragi che uccisero Falcone, Borsellino e le loro scorte. Obinu sta all’Aise. Che non è un’azienda di elettrodomestici ma una delle sigle dei nostri straordinari servizi segreti che ogni tanto cambiano sigla per rinverdire il brand. Il capo di Obinu è Gianni De Gennaro condannato in Appello ad un anno e quattro mesi per la macelleria messicana della scuola Diaz di Genova quando era il capo della polizia italiana. Poi richiamo alla vostra memoria che il comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale era stato condannato ad un anno e mezzo per peculato ed è stato ricompensato con una nomina a senatore del partito berlusconiano. Vogliamo aggiungere Niccolò Pollari direttore del Sismi salvato dalle accuse per il rapimento di Abu Omar con il segreto di Stato e ricompensato con una qualifica di Consigliere di Stato. Vi meravigliate? Io ho poco disincanto forse perché essendo un direttore di giornale ho potuto verificare che in favore di Pollari con dossier mirati si muovevano strani personaggi calabresi in odor di massomafia. Non avete mai incontrato uomini delle istituzioni che si sentono Stato più Stato degli altri? Spesso in rapporto stretto con giornalisti di grido dotati di ottimi fonti e che nelle redazioni possono far emergere titoloni su quel personaggio o capaci di far circolare dossier molto documentati contro avversari interni o esterni. Anche loro P3? Chissà. Stiamo ai fatti senza troppo dietrologia e comprendiamo chi è il generale Ganzer condannato a 14 anni da un Tribunale di quello Stato che doveva servire. Accademia Militare di Modena. Capitano e allivo del generale Dalla Chiesa tiene il fortino strategico di Padova dove coordina il blitz contro l’Autonomia. Si tratta del processo «7 aprile» ovvero quando l’inquisizione politica consente l’eclisse del Diritto. Il dossier che arriva al giudice Calogero porta le firma di Ganzer. Sul fronte della criminalità cattura la banda dei giostrai. Poi infiltra uno dei suoi uomini nella “Mafia del Brenta” di Felice Maniero. Pochi ricordano che un pm indaghi l’ufficiale dei carabinieri per falsa testimonianza a difesa dell’infiltrato. La circostanza è citata da Fiorenza Sarzanini del Corsera che la elogia in positivo chiosando : “preferì finire sotto processo piuttosto che tradire un collaborante”. Carabinieri su una linea d’ombra. Stato nello Stato. Ma ci sono anche magistrati che non fanno sconti. Parte da lontano la vicenda che ha visto condannare il capo Dei Ros ad una pesantissima condanna a 14 anni di carcere. A Ganzer è andata male perché ha trovato un mastino sulla sua strada. Lo stesso magistrato che ha indagato sul Sismi di Pollari. Un pm tostissimo. Armando Spataro della Procura di Milano. Che si fida ciecamente di Ganzer. Ma quelli come Spataro non si bevono tutto come oro colato. Anche se ti chiami Ganzer. Il pm riceve la richiesta di un’autorizzazione a ritardare il sequestro di una partita di droga. Questo il racconto del pm dagli atti processuali:«Mi disse che il Ros disponeva di un confidente colombiano che aveva rivelato l’arrivo nel porto di Massa Carrara di un carico di 200 chilogrammi di cocaina. Era destinata alla piazza di Milano e il confidente era disposto a fornire al Ros le indicazioni necessarie per seguire il carico fino a destinazione e catturare i destinatari della merce». Spataro firmò il decreto di ritardato sequestro. Ma i piani del Ros cambiarono: l’operazione infatti fu effettuata. Ma, dopo aver compiuto l’operazione, il Ros non diede più informazioni. Insospettito, Spataro si presentò negli uffici romani del Raggruppamento operativo speciale e chiese notizie attorno al sequestro dei due quintali di cocaina. Gli fu mostrata della droga conservata in un armadio. Quando, molti mesi dopo, Ganzer gli prospettò l’ipotesi di vendere quella droga a uno spacciatore di Bari, Spataro decise di informare il capo della procura e alcuni suoi colleghi. E ordinò la distruzione della droga. Un copione che sarebbe poi stato ricalcato molte altre volte. Secondo l’accusa, gli stessi carabinieri erano diventati protagonisti del traffico e le brillanti operazionì non erano altro che delle retate di pesci piccoli messe in atto per gettare fumo negli occhi all’opinione pubblica. Anche Fabio Salomone pm bresciano indaga sul Ros. Quello di Bergamo. I carabinieri reclutano giovani pusher su piazza. Trovano i clienti e vendono la coca. Un gruppo di carabinieri fa carriera con operazioni dove i soldi spariscono e che hanno una sorta di regia etorodiretta. Un esponente della malavita, Biagio Rotondo, detto «Il Rosso» racconta al pm Salomone che nel 1991 due carabinieri del Ros lo avvicinarono in carcere e gli proposero di diventare un confidente nel campo della droga. In realtà, secondo l’accusa, questi confidenti (tra il 1991 e il 1997 ne furono reclutati in gran numero) venivano utilizzati come agenti provocatori, come spacciatori, come tramiti con le organizzazioni dei trafficanti. «Il Ros – scrivono i giudici nel rinvio a giudizio – instaura contatti diretti e indiretti con rappresentanti di organizzazioni sudamericane e mediorientali dedite al traffico di stupefacenti senza procedere nè alla loro identificazione nè alla loro denuncia… ordina quantitativi di stupefacente da inviare in Italia con mercantili o per via aerea, versando il corrispettivo con modalità non documentate e utilizzando anche denaro ricavato dalla vendita in Italia dello stupefacente importato. Denaro di cui viene omesso il sequestro». «Si tratta – annota la Procura di Milano – di istigazione ad importare in Italia sostanze stupefacenti». I sottoufficiali indagati nascondono microspie ambientali e registrano l’interrogatorio del Pm. Per Ganzer è un gioco facile denunciare Salomone per abuso alla procura di Venezia e paralizzare per lungo tempo l’inchiesta. Un’inchiesta, nata a Brescia nel 1997 (pm Fabio Salamone) passata poi a Milano (pm Davigo, Boccassini e Romanelli) perchè coinvolgeva un pm bergamasco, salvo poi essere mandata a Bologna (per un episodio a Ravenna), restituita da Bologna a Milano, girata a Torino e rispedita a Bologna, che sollevò conflitto di competenza in Cassazione, la quale stabilì infine la competenza di Milano. Un giro d’Italia che ha ritardato la fine di un processo durato un’eternità e che a quello di piazza Fontana gli fa un baffo per quanti tribunali ha visitato nel silenzio generale. E Biagio Rotondo detto “Il Rosso”? Il testimone che ha permesso di scoprire i giochi del Ros è morto suicida in carcere a Lucca il 29 agosto nel 2007. Cinque giorni prima la squadra mobile lo ha arrestato nell’ambito di un’inchiesta su delle rapine avviata con delle intercettazioni . Fuori dal ristorante dove lavora è stata trovata avvolta in un tovagliolo una vecchia pistola di strana provenienza e che ha giustificato il fermo per porto d’armi abusivo. Nella sua ultima lettera indirizzata anche ai magistrati che hanno gestito la sua collaborazione c’è scritto: “Confermo che tutto quello che ho detto corrisponde a verità. E’ un momento tragico per la mia vita, sono fallito come tutto e ritrovarmi in carcere senza aver fatto nulla è per me insopportabile…Vi chiedo scusa per questo insano gesto”. C’ è un’altra presunta mela marcia in questa storia. E’ il magistrato Mario Conte che a Bergamo offre la copertura legale al supermarket carrierista della droga. E quando l’inchiesta Salomone decolla Conte si fa trasferire a Brescia acconto alla stanza di Salomone. Per motivi di salute la sua posizione è stralciata e si trova in attesa di giudizio. Si vedrà. Per il momento una sentenza di primo grado ci dice che il metodo Ganzer nella lotta alla droga ha permesso l’arresto di molti pesci piccoli, sono aumentate le finanze di molti narcos ed è aumentativo il volume della cocaina nel nostro Paese. Senza dimenticare le violazioni del diritto e la deviazione delle istituzioni. Chissà se vi è capitato di assistere in televisione a vedere i servizi di quelle operazioni antidroga come “Cobra” o “Cedro” e che nulla altro sarebbero state che delle recite a soggetto. I Ros di Ganzer avrebbero anche installato una finta raffineria a Pescara per rendenre più brillante l’operazione. Ma tutto questo non era un’associazione a delinquere secondo il Tribunale di Milano. Resta con la prescrizione una zona d’ombra anche per un carico arrivato dal Libano di 4 bazooka,119 kalasnikov, 2 lanciamissili in quel caldissimo 1993 italiano e che secondo l’originario capo d’accusa i Ros avrebbero venduto alla cosca dei Macrì-Colautti. I soldi dell’affare non si trovano. Solo qualche traccia bancaria sbiadiata. Guadagni forse personali e qualche conto off shore che l’inchiesta non è stata in grado di trovare. Ganzer e Obinu sapevano quello che combinavano i sottoposti. Sono stati tutti condannati insieme al loro tramite libanese Jean Ajai Bou Chaya che dovrà scontare 18 anni di carcere. Intanto a Milano per arrivare a questa sentenza sono stati escussi trecento testimoni ( a favore di Ganzer la difesa ha anche chiamato l’ex procuratore nazionale Vigna) e accorpati centoquaranta fascicoli. Tenute 163 udienze in cinque anni, 28 tra requisitorie e arringhe, 8 giorni di camera di consiglio. Nessuno ha seguito il processo fatto salvo rinvio a giudizio, richiesta pena e cronache sulla sentenza. L’unica eccezione è rappresentata da un articolo dell’Unità apparso in pagina il 25 febbraio del 2009 a firma di Nicola Biondo. Il generale Ganzer in tutto questo trambusto è diventato capo del Ros dal 2002 con beneplacito di destra e sinistra. A Mario Mori sotto processo a Palermo succede Ganzer condannato ieri a Milano. Allievi di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nucleo speciale. Molti ufficiali e poca truppa. Investigazione speciale e segreta. I magistrati sono stati spesso al loro guinzaglio, intercettazioni invasive e operazioni nella terra di mezzo con il confidente. Una strana miscela che ha fatto esplodere conflitti esplosivi come quello tra il colonnello Riccio e Mori in Sicilia. Anche per Riccio condotte illegali nelle indagini antimafia gli sono costate una condanna in Appello a 4 anni e 10 mesi. Chi è più Stato dello Stato? I Ros di Ganzer oggi gestiscono le inchieste sui fondi neri a Finmeccanica, i ricatti a Marrazzo, tutte le nobile gesta della cricca, l’asse calobro-lombarda delle ndrine e gli affari della Camorra. Può il generale rimanere al suo posto? Secondo il ministro dell’Interno leghista e per il Comando generale dell’Arma non ci sono dubbi, dall’opposizione non vola neanche una mosca. L’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da ministro dell’Interno vide lungo e chiese che alcune competenze dei reparti speciali italiani andassero ai comandi territoriali. Il Gico della Guardia di Finanza e lo Sco della Polizia hanno ottemperato alla disposizione. Tranne il Ros dei carabinieri che con le sue ventisei sezioni dislocate nelle Procure distrettuali restano delle monadi impenetrabili. Da quei reparti vengono uomini come Angelo Jannone, Giuliano Tavaroli, Marco Mancini e finiti tutti nello scandalo dei dossier illegali Telecom-Sismi. E gli ex Sismi accusano gli ex Ros di avere contatti proprio con Ganzer che con il Ros di Roma va a Palermo a disarticolare l’ufficio di Genchi subito sospeso dall’incarico senza essere formalmente indagato mentre il generale resta al suo posto mancando solo la promozione di generale di brigata. I Ros sono quelli che arrestarono a Milano il calabrese Daniele Barillà, sette anni di carcere innocente risarcito con soldi e la fiction di Beppe Fiorello “L’uomo sbagliato”. Potremmo narrarvi tante storie sul Ros. Ma io che sono un cronista di provincia ricordo che il Ros di Ganzer si occupò anche dei No Global di Cosenza e della Rete del Sud ribelle dopo i fatti di Genova. E dal mio archivio pesco un documentato articolo di Peppino D’Avanzo che su Repubblica ci svelava questa trama: «ACCADE che il Raggruppamento Operazioni Speciali (Ros) dell’Arma dei Carabinieri si convinca che dietro i disordini di Napoli (7 maggio 2001) e di Genova (21 luglio 2002) non ci sia soltanto il distruttivo, nichilistico furore di casseur europei o il violento spontaneismo delle teste matte (e confuse) di casa nostra, ma addirittura un’associazione sovversiva. Concepita l’ipotesi, gli investigatori dell’Arma intercettano, spiano, osservano, pedinano. In assenza di contraddittorio, s’acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una conveniente e coerente cabala induttiva. È il sistema che più piace agli addetti: “lavorare su materia viva, a mano libera”. Organizzato il quadro, occorre ora trovare un pubblico ministero che lo prenda sul serio. Alti ufficiali del Ros consegnano il dossier, rilegato in nero, di 980 pagine più 47 di indici e conclusioni ai pubblici ministeri di Genova. Che lo leggono e concludono che ‘quel lavoro è del tutto inutilizzabile’. Gli investigatori dell’Arma non sono tipi che si scoraggiano. Provano a Torino. Stesso risultato: “Questa roba non serve a niente”. Il dossier viene allora presentano ai pubblici ministeri di Napoli. L’esito non è diverso: il dossier, da un punto di vista penale, è aria fritta. Finalmente gli ufficiali del Ros rintracciano a Cosenza il pubblico ministero Domenico Fiordalisi. Fiordalisi si convince delle buone ragioni dell’Arma dei Carabinieri. Ora rendere conto delle buone ragioni del Ros che diventano buone ragioni per il pubblico ministero e il giudice delle indagini preliminari, Nadia Plastina, è imbarazzante per la loro e nostra intelligenza». Nadia Plastina è stata promossa, Fiordalisi è diventato pm in una procusa sarda e vive sotto scorta per le minacce ricevute. I militanti arrestati nell’operazione No global sono stati tutti assolti nel processo di primo grado e devono affrontare quello d’appello. Il generale Ganzer è stato condannato da un tribunale dello Stato e resta al suo posto di comandante del Ros.
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