NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

26 MARZO 2000

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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DAVIDE LIBERO











Il taser non è né indispensabile né innocuo

 

FONTE:Volere la Luna

 

Anche di fronte agli ultimi fatti di cronaca in cui l’uso del taser nei confronti di due persone fragili e in stato di agitazione ne ha provocato la morte il ministro, dell’Interno non ha dubbi o incertezze e definisce il taser uno strumento “imprescindibile”e non pericoloso. Non è così, come dimostrano diverse indagini, e questa sicurezza inquieta doppiamente per l’impermeabilità della polizia ad ogni confronto sull’uso delle armi.

 

Addirittura “imprescindibile”: così il ministro dell’Interno Piantedosi sul taser, la pistola elettrica introdotta in Italia nell’uso corrente appena tre anni fa e già al centro di legittime preoccupazioni, visto l’alto numero di persone decedute (cinque) dopo essere state colpite dalle scariche elettriche sparate da agenti delle forze di polizia. Le indagini della magistratura sono in corso, ma già sappiamo che non offriranno né certezze né “verità” cui fare riferimento: sia perché è sempre difficile stabilire in sede medica un rapporto di causa-effetto fra la scarica elettrica e il successivo decesso, sia perché l’eventuale uso legittimo del taser, anche se accertato dalla magistratura, non assolverebbe di per sé lo strumento e i suoi modi di impiego da parte delle forze di polizia.

Piantedosi e gli altri sostenitori del taser offrono all’opinione pubblica una definizione standard, che viene ripetuta da ogni comunicatore parola per parola: «Il taser è uno strumento di difesa, è indispensabile ed evita il ricorso alle armi da fuoco». Piantedosi aggiunge che le critiche al suo utilizzo sono “ideologiche” (cioè di sinistra) e “pregiudiziali” (cioè disinformate). Non c’è da sorprendersi né dell’atteggiamento di chiusura, né dell’aggressività del ministro, che sono tipici del non-dibattito italiano sulle forze dell’ordine; ma che il taser sia uno strumento discutibile – del cui uso è cioè necessario discutere – è francamente fuori di dubbio, e non da ora. Basti ricordare la citatissima inchiesta dell’agenzia Reuters (che non è di sinistra, né disinformata), che ha contato negli Stati Uniti 1.081 decessi seguiti all’uso del taser, constatando che in 163 casi (quindi il 15%) la scossa elettrica inflitta con l’arma è stata indicata nelle autopsie come concausa di morte. E Amnesty International, in un suo recente rapporto, ha ricordato che «le armi a scarica elettrica possono provocare forti dolori, disabilità fisiche permanenti e gravi disturbi psicologici» e andrebbero dunque utilizzate – nel caso – con la massima cautela, in particolare su persone in stato di momentanea alterazione o con problemi di salute, specie se cardiaci.

L’impiego del taser, dunque, dev’essere esaminato eccome. Oltretutto il suo uso corrente non pare affatto alternativo alle armi da fuoco, semmai aggiuntivo o sostitutivo rispetto ad altre modalità d’intervento. Anche negli ultimi due casi di cronaca – uno a Olbia, l’altro a Genova – le scosse hanno raggiunto persone in stato di alterazione, colpite per i loro comportamenti aggressivi e giudicati pericolosi, ma in nessuno dei due episodi, in assenza di taser, le forze di polizia avrebbero sparato, perché non vi sarebbero state le condizioni per giustificare l’impiego di armi letali. Come ha spiegato lo stesso Piantedosi, «le regole di ingaggio prevedono che il taser venga usato soltanto quando ci si trova di fronte a soggetti violenti e aggressivi che rappresentano un concreto pericolo per i presenti», avendo anche l’obiettivo di evitare un contatto fisico con gli agenti. Non si parla di pericoli mortali, né di diretta alternativa alle armi da fuoco. Se dunque il taser – come si evince dalle cronache – viene spesso usato per affrontare casi problematici, di fronte a persone momentaneamente aggressive, incontrollate, in stato di alterazione psicofisica, è più che lecito domandarsi se sia lo strumento più adatto da utilizzare; e i dubbi alimentati dalle notizie dei decessi dovrebbero spingere alla riflessione e alla cautela, invece che indurre a sdegnate e perentorie prese di posizione contro chi avanza una critica o chiede di aprire una discussione.

Il punto è che le polizie italiane coltivano da decenni – forse da sempre – un’attitudine autoreferenziale che porta a giudicare come illegittime “invasioni di campo” ogni critica, ogni richiesta di chiarimenti e di trasparenza, ogni proposta di regolamentazione che non provenga dall’interno degli apparati. E dire che nel recente passato, più volte, si è posto il tema dell’uso eccessivo della forza e anche di strumenti impropri da parte delle forze dell’ordine. Le cronache di innumerevoli manifestazioni hanno documentato, negli anni, violente e poco giustificate cariche ai cortei, molte inutili manganellate di gruppo, troppe aggressioni a individui inermi, l’uso spesso smodato dei gas lacrimogeni. E come dimenticare, durante il G8 di Genova del 2001, l’uso di armi da fuoco (non solo in piazza Alimonda, con l’omicidio di Carlo Giuliani), le cariche poi definite “illegittime” dai tribunali e il ripetuto utilizzo da parte di alcuni agenti di mazze e bastoni fuori ordinanza? Tutti fatti documentati dei quali non si è mai voluto discutere. A Genova, oltretutto, furono usati illegalmente anche dei manganelli elettrici – parenti in qualche modo del taser – in particolare all’interno della scuola Diaz, ma nessuno si è mai sentito in dovere di dare una spiegazione su come sia possibile che siano ammessi, all’interno di un reparto, strumenti di offesa illeciti. E quanto alle “regole di ingaggio” sull’uso delle dotazioni ufficiali, sempre il caso Diaz insegna che occorre conoscerle e discuterle preventivamente, non per ragioni “ideologiche”, ma perché solo a cose fatte, durante il processo seguito alle violenze di polizia, abbiamo appreso che il manganello tonfa, usato “in via sperimentale” dal VII reparto mobile della Questura di Roma all’interno della scuola, era stato presentato dagli istruttori come un’arma potenzialmente letale e quindi da utilizzare con la dovuta cautela, mentre fu usato dagli operatori letteralmente a casaccio, con brutale violenza, sui corpi e sulle teste di decine di persone, rischiando l’irreparabile, che infatti fu sfiorato in almeno due casi. Anche su questo punto nessuno – negli apparati di polizia – ha mai dato spiegazioni.

In definitiva, l’uso del taser inquieta per due ordini di motivi: per la sua intrinseca pericolosità, specie quando viene impiegato contro persone fisicamente fragili o con problemi cardiaci (impercettibili alla vista degli agenti armati); e poi perché le polizie italiane sono solite agire trascurando gli obblighi di informazione, trasparenza, apertura alla critica e al dibattito tipici dei regimi democratici.

 

Lorenzo Guadagnucci