In Italia il calcio moderno si è allontanato anni luce dal modello che aveva affascinato milioni di uomini e donne, riuscendo a fidelizzarli al punto da trasformare la passione per le maglie in un amore senza fine. Il calcio diventava la bolla in cui trovare rifugio nei momenti bui. Era il posto delle fragole che ciascuno si costruiva a propria immagine e somiglianza. Sfuggito clamorosamente di mano a dirigenti inadeguati al ruolo, il calcio italiano rotola oggi verso il baratro tra l’indifferenza (quasi) generale. Nessuno si meraviglia più di niente, qualunque cosa accada. Tutto viene considerato normale. La rassegnazione e l’apatia finiscono per minare la coscienza di chi dovrebbe vigilare. Gli umani si lasciano spesso intrappolare dall’indifferenza, quando le cose vanno alla deriva. In uno scritto apparso qualche tempo fa su Repubblica, Stefano Benni sosteneva che “Il calcio non è il cuore della cultura, ma è cultura popolare, interclassista, condivisa. Non ci sono solo gli ultrà. Ci sono persone di ogni età che hanno voglia e sereno bisogno di divertirsi. Per questo il calcio è cultura, coltiva sogni e socialità”. Il bello di questo sport è che è fatto per sognatori, concludeva Benni, ma è governato da farabutti. In Italia, il calcio moderno sta spappolando i sogni dei tifosi. Quasi senza rendersene conto, si iniziano a prendere le distanze dalle maglie che ci portiamo dentro da una vita. Gli stadi si svuotano. La passione si allenta. L’amore diventa, in molti casi, quasi molesto. Il diffuso senso di precarietà che pervade il sistema potrebbe alla lunga recidere un fil rouge che si pensava forgiato nell’acciaio. Quando si lasciano evaporare i sogni dei tifosi, emarginandoli dolosamente alla periferia del sistema, per il calcio è il principio della fine. |