NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

26 MARZO 2000

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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DAVIDE LIBERO











Dimmi, mamma, perché tutti odiano la polizia?

 

FONTE:mediapart.fr

 

“Mamma, perché tutti odiano la polizia?” chiede un bambino a sua madre, un’agente di polizia. Raramente un film ha risposto a questa domanda meglio di Dossier 137, da cui è tratta questa battuta.

 

“Mamma, perché tutti odiano la polizia?” chiede un bambino a sua madre, un’agente di polizia. Raramente un film ha risposto a questa domanda meglio di Dossier 137, da cui è tratta questa battuta (trailer del film qui: https://www.youtube.com/watch?v=cfjLcFPNBFE). Dopo il bellissimo La notte del 12, Dominik Moll continua a esplorare il tema della polizia in un altro film sottile e complesso. Trattando infatti di un atto di violenza poliziesca durante il movimento dei Gilet Gialli, un errore “ispirato a eventi reali” che ricorda fortemente l’aggressione a Olivier Beziade del 12 gennaio 2019 a Bordeaux (1), il film adotta il punto di vista dell’IGPN (Ispettorato Generale della Polizia Nazionale). Si tratta di una scelta rara e molto fruttuosa del film, che evita la versione testosterone-al limite della propaganda degli aggressori (si pensi in particolare ai film di Cédric Jimenez, ovviamente), ma anche il punto di vista delle vittime, sviluppando quasi per necessità un discorso critico sulla polizia (2): non si tratta infatti (o non solo) di combattere un’ideologia o un’istituzione, ma di comprenderla.
Niente, mi sembra, è più devastante di questa prospettiva critica e dall’interno, di questo lavoro instancabile e scrupoloso svolto dal capo dell’IGPN, interpretato sullo schermo da Léa Drucker (Stéphanie Bertrand), che vuole portare a termine la sua indagine – e quindi comprendere, e aiutarci a comprendere, i problemi intrinseci all’istituzione della polizia – con l’obiettivo preciso di salvare le forze di polizia. Cercando di determinare e dimostrare la responsabilità degli agenti colpevoli di aver distrutto una vita umana, e non riuscendo a trovare alcuna giustificazione per coloro che nel corso del film definisce colleghi, il capo dell’IGPN rivela non solo la colpa di uno o due individui – ritualmente designati come “mele marce” nei media e nel discorso politico prevalenti – ma l’intera catena causale che porta alla catastrofe e la portata erculea del compito da svolgere per ripulire questa istituzione, tanto sistemica è la sua corruzione.
In effetti, il film non si sottrae al senso di colpa, e persino alla depravazione morale, degli agenti di polizia che sparano – arrivando persino a picchiare la vittima a terra e lasciarla morire senza prestare soccorso, atti che sarebbero ripugnanti se non fossero diventati tristemente comuni. Ma, naturalmente, mette anche in luce la solidarietà professionale di colleghi, superiori e sindacati che giustificano ciecamente l’ingiustificabile e riescono a soffocare le indagini. Il film non ignora inoltre il contesto specifico del mantenimento dell’ordine pubblico e delle proteste dei Gilet Gialli (3), la stanchezza degli agenti di polizia, la totale disorganizzazione della loro gerarchia e l’assoluta inesperienza di alcuni degli agenti coinvolti – che, nel film, provengono dalla BRI (Brigata di Intervento Rapido). La responsabilità dei politici – nominiamo almeno i principali coinvolti: Emmanuel Macron, Edouard Philippe e Christophe Castaner – è palese in questo senso, e forse in qualche modo minimizzata dal film.
In questo contesto, ci si chiede se sia davvero lecito prendere di mira incessantemente uno o due individui, anche moralmente riprovevoli e di fatto colpevoli, per un sistema di cui non sono interamente responsabili (anche se avrebbero certamente potuto rifiutare una missione che esulava dai loro doveri abituali), quando i veri colpevoli – funzionari eletti, ministri, prefetti, ecc. – non saranno mai ritenuti responsabili. In ogni caso, questa non è la domanda centrale del film, che evita abilmente la trappola del mero aneddoto o della focalizzazione puramente interna. La domanda trainante è l’enigma posto più volte nel corso del film: “Perché tutti odiano la polizia?”, a cui Stéphanie Bertrand, lei stessa agente di polizia, cerca disperatamente di rispondere nel corso della storia. L’esaurimento del personaggio risponde alla domanda: tutti odiano la polizia perché nessuno può regolamentarla, ritenerla responsabile o persino controllarne le azioni, dato quanto vasto sia diventato il suo potere e il significativo costo politico di un simile tentativo.(4)
Questa è forse l’unica critica che potrei fare a questo film: i miei sentimenti alla fine della proiezione erano contrastanti e mi hanno fatto comprendere lo stretto legame tra rabbia e disperazione.[5] La stessa impotenza del personaggio principale, che incarna sullo schermo le nostre speranze, la nostra rabbia e la nostra lotta, ci riduce a una frustrazione insopportabile. Mentre il comandante Stéphanie Bertrand sostiene per tutto il film, contro i suoi ostili colleghi poliziotti, che l’IGPN (Ispettorato Generale della Polizia Nazionale) potrebbe ripristinare la fiducia del pubblico nella polizia, gli eventi che si susseguono dimostrano che si sbaglia, e il personaggio finisce schiacciato dal sistema, rendendosi conto che l’IGPN garantisce solo l’impunità della polizia. Le debolezze morali di questo personaggio, la pungente ironia di vederla sul banco degli imputati, così come la brutalità dell’impunità della polizia e la violenza dei colpi inflitti e delle immagini di essi, potrebbero benissimo indurci ad arrenderci. Non c’è niente che si possa fare contro la violenza della polizia? Certamente, il Dossier 137 da solo non può affrontare questo problema, che fa parte di un sistema che lo supera di gran lunga. Ma quale film più accurato si potrebbe fare oggi?

NOTE:

 

1) Vedi Le Monde, « Enquête : comment un tir de LBD a gravement blessé un ‘gilet jaune’ à Bordeaux », Le Monde, 17 octobre 2019, https://www.youtube.com/watch?v=79GJ4DYYVlc

2) Vediilmolto bello documentarioUn pays qui se tient sage, di David Dufresne (2020)

3) Un ultimo riferimento sullo stesso tema : La Fracture, di Catherine Corsini (2021).

4) Ricordiamo a tale proposito il memorabile «Vous obéirez » (voi obbedete), rivolto da Jean-Luc Mélenchon a un polizioto : https://www.youtube.com/watch?v=FMTuYVRIv-E

5) Questi due sentimenti erano, più o meno, al cuore della mostra Soulèvements, diretta da Georges Didi-Huberman, che dopo continua le sue ricerche sul fenomeno opposto: come si passa dalle lacrime alle armi.

 

traduzione a cura di Salvatore Palidda