Un ricorso alla Corte costituzionale potenzialmente esiziale, per uno dei dibattimenti «più grandi e importanti della storia della nostra Repubblica», come lo ha definito l’associazione Antigone che ne è parte civile. Dopo tre anni fitti fitti di udienze e decine di testimonianze videoregistrate, il maxi processo per le violenze e le torture inflitte il 6 aprile 2020 ai detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) rischia uno stop che può tramutarsi in un affossamento. Il pericolo è rappresentato dalla questione di legittimità costituzionale che alcuni degli avvocati difensori dei 105 imputati vorrebbero venisse sollevata dalla stessa Corte d’Assise davanti alla quale si svolge il dibattimento, relativamente all’inaspettata – e anche un po’ anomala – sostituzione del presidente del collegio.
I fatti: qualche settimana fa il presidente della Corte d’Assise sammaritana Roberto Donatiello ha lasciato il collegio per prendere posto presso la Corte d’Appello di Napoli, dove era già stato trasferito ad inizio 2024 decidendo però di ritardare la dislocazione proprio per la complessità del processo di primo grado che, dal 7 novembre 2022, si svolge nell’aula bunker del carcere «Francesco Uccella». Al suo posto è arrivata a S. M. Capua Vetere la magistrata Claudia Picciotti, che non ha perso tempo e ha proseguito con un fitto calendario di udienze, e possibile sentenza nel 2026. Nell’udienza di mercoledì, però, dopo aver indetto nei giorni scorsi uno sciopero di protesta proprio contro l’avvicendamento dei presidenti del collegio, alcuni difensori degli imputati e in particolare l’avvocato Giuseppe Stellato, legale dell’allora comandante della polizia penitenziaria Gaetano Manganelli, hanno chiesto al tribunale di sollevare il caso davanti alla Consulta, per violazione dell’articolo 25 della Costituzione (principio del giudice naturale precostituito per legge).
Secondo i ricorrenti, inoltre, «il processo dovrebbe ricominciare da capo anche perché le testimonianze acquisite durante il dibattimento sono state videoregistrate finora con le telecamere d’aula, e non con quelle del sistema informatico del ministero di Giustizia», come riferisce l’avvocata Simona Filippi, che nel contenzioso rappresenta Antigone. A giudizio di molti, si tratterebbe di un espediente per tentare di rallentare il processo, sperando che il reato di “tortura” possa derubricarsi in “lesioni” nel caso di alcuni imputati, divenendo così soggetto a prescrizione. La giudice Picciotti dovrebbe decidere nel merito già lunedì 1° dicembre.
Nel frattempo, gli avvocati difensori hanno formalmente richiesto alla Corte d’Appello di Napoli il provvedimento che dispone il trasferimento del giudice Donatiello, e contemporaneamente anche la Camera Penale del foro di Santa Maria ha protestato con una lettera inviata al ministro Nordio sostenendo che vi sarebbe stato un diverso trattamento tra il presidente del collegio e il pm Alessandro Milita, anch’egli nominato procuratore aggiunto a Napoli ma non ancora trasferito dalla Corte d’Assise.
Vale la pena ricordare che il processo in corso vede alla sbarra agenti penitenziari, funzionari del Dap e medici Asl accusati a vario titolo delle torture, delle violenze, dei falsi e dei depistaggi messi in atto contro i detenuti (178 persone offese individuate dalla procura), oltre che della «morte quale conseguenza della tortura» del giovane algerino Lamine Hakimi, deceduto il 4 maggio 2020 nello stesso penitenziario di Santa Maria, un mese dopo le violenze subite nel corso della «perquisizione» che in realtà, secondo la definizione dello stesso Gip, fu una «orribile mattanza». Per altri cinque imputati, assolti in primo grado con rito abbreviato, è già iniziato il processo d’Appello: prossima udienza il 4 dicembre. |