Puntano a prenderci per stanchezza. A incatenarci al disgusto, a scatenare le peggiori perversioni di tifosi da divano. Danno tutto perché tu non chieda più, per abituarti all’idea che il calcio è quello servito mentre stai comodo al caldo, non quello avventuroso dei gradoni d’inverno. Spingono perché il rito si consumi con preparazione fantozziana – calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero – senza nemmeno una finestra da spaccare per chiedere «Scusi, chi ha fatto palo?» perché tu da casa non devi uscire, la partita è lì, le telecamere sono puntate. Sembra un piano, forse lo è. Poi è chiaro: le tv fanno quello che vogliono perché pagano e tanto, il calcio si adegua perché nemmeno con quei soldi ce la fa – figuriamoci senza -, chi va allo stadio non vede la televisione e quindi blocca questo ciclo, non è elemento di un ingranaggio che invece o gira liscio o non gira. Dunque, meglio tenerlo a casa. Mettici una lunga trafila per fare i biglietti, le trasferte ad ostacoli (quando si può, quasi mai), uno slalom obbligatorio tra i tornelli, togli il colore che una volta c’era e adesso tende a sbiadire e quasi ci sei riuscito: stanco, l’appassionato si siede. Tanto, è tutto davanti a lui. L’ho pensato quando è apparsa, domenica sera, la SuperMario Cam. Una telecamera per Balotelli, un modo per farci vedere la partita con i suoi occhi e, magari, sentirci un po’ lui – ovviamente senza macchinoni da portare in giro e petardi da far scoppiare in casa. Come non fosse bastato l’attesa, l’arrivo del pullman, il piede a terra che manco Armstrong quando toccò la luna e la solita, inutile, finta ripresa dagli spogliatoi. Ora, Mario è un campione – per quanto matto, sregolato. Ma campione – e riaverlo tra noi è una bella notizia, ha ricevuto gli onori e fra un po’ tornerà anche ad essere un “negro” perché l’Europeo è finito da un pezzo e quella testimonianza da nuovo italiano strombazzata un po’ qua e un po’ là adesso non serve a nulla, perché se non c’è la Germania da battere in Italia torniamo tutti in trincea con la nostra fazione, senza nemmeno l’onestà di riconoscere il genio altrui.Dico che Balotelli non è un simbolo di parte, ma un simbolo. Io. Epperò fossi stato un tifoso dell’Udinese abbonato alla pay tv avrei permesso alle mie palle di girare, all’idea di vedere la partita con gli occhi di un avversario. Non è certo il momento di suicidarsi con il torcicollo, magari evocando il calcio immaginato delle partite alla radio o tornando quanto più possibile indietro con il tempo. Ma poi vedo: una telecamera personale per un giocatore, testimonianza dell’attesa e anche effetto di un battage unico negli ultimi anni (un po’ anche elettorale, ma questa è un’altra storia) e di contro ampi spazi vuoti sugli spalti. Fuori i numeri: 11.195 paganti, 23.957 abbonati, quindi oltre metà stadio vuoto. E’ così che si muore: quando allo stadio si avverte la solitudine, quando – ok – le tv portano soldi, ma stanno sottraendo risorse da altre parti. Che sono pure soldi, ma è anche calore, passione, tradizione. Con la SuperMario Cam e San Siro vuoto a metà tutto sembra tornare: la gente a casa e nessuno che rompe i coglioni allo stadio. Le società – le grandi, soprattutto – prendono soldi che però non spendono più perché hanno debiti da saldare e il calcio italiano si impoverisce. L’ho presa male, sì, quella telecamera per Balotelli. Forse perché il pomeriggio avevo visto giocare il Taranto, e un centinaio di tifosi su spalti improbabili, con vento forte e freddo, esultanti al 94′ a rimonta avvenuta, con il capitano arrampicato sulla rete e giocatori e ultras felici di condividere una partita, di abbracciarsi per l’impresa. Era a Sant’Antonio Abate, era calcio. Quello che resiste. Quello che all’ennesima cam risponde con un coro. E preferisce guardare il pallone negli occhi. |