Certo, se ci fosse stato il passaporto del tifoso tutto questo non sarebbe accaduto. Non l’ha ancora detto il nostro ministro dell’Interno Roberto Maroni, però probabilmente lo farà a breve. La serataccia di Genova, con la partita Italia-Serbia interrotta dopo sei minuti di gioco per le violenze dei tifosi ospiti, ha lasciato il segno. E ormai è un caso internazionale. Con responsabilità, gravi, da parte delle autorità di Belgrado, ma anche delle forze dell’ordine italiane che non sono riuscite a garantire il regolare svolgimento di una competizione sportiva. Il gioco al rimbalzo delle responsabilità tra i due Paesi è già cominciato. Mentre l’Uefa ha aperto un’inchiesta. E per ora l’unico condannato è un diciottenne incensurato tifoso del Genoa che si è beccato tre mesi per direttissima. Roma contro Belgrado, dunque, il giorno dopo la notte di guerriglia a Genova che è terminata con nove ultrà serbi arrestati e sedici feriti . Il ministro Maroni non ha dubbi: le forze dell’ordine hanno evitato una strage, una serata in stile Heysel. Sulla stessa lunghezza d’onda, ovviamente, il portavoce di questo singolare organismo che va sotto il nome di Osservatorio sulle manifestazioni sportive, che risponde al nome di Roberto Massucci: Un intervento nel settore ultras - dice - avrebbe potuto comportare conseguenze assai peggiori». E ha denunciato «smagliature» nel sistema informativo tra le autorità italiane e quelle serbe. Che pure hanno presentato le scuse ufficiali al nostro ministro degli Esteri Franco Frattini. Dove ci sia stato l’errore qualcuno - probabilmente l’Uefa - lo stabilirà. Resta il fatto che quella offerta martedì sera a Genova non è stata certo una prova da ricordare da parte della polizia italiana. Possibile che solo a cose avvenute Maroni si chieda: «Come mai Belgrado ha consentito a questi violenti di arrivare in Italia?» Non ci poteva pensare prima? Certo, le responsabilità sono quantomeno condivise. E ascoltare a Radio24 l’ambasciatrice serba in Italia Sanda Raskovic dichiarare: «Ho sentito parlare di un fax con l’informazione e l’avvertimento di teppisti in arrivo dalla Serbia che avrebbero potuto creare problemi», come si trattasse di una di passaggio che ha orecchiato qualcosa mette un po’ i brividi. «Non voglio giudicare nessuno - prosegue la diplomatica - e dire che la polizia ha commesso un errore. Ma dico che che i nostri agenti avrebbero dovuto controllare meglio quando i nostri salivano sul pullman e i vostri perquisirli meglio all’ingresso dello stadio». E invece non è stato fatto né l’uno né l’altro. Se a questo aggiungiamo quel che ha detto Slobo, uno dei capo-tifosi serbi intervistati all’esterno della Questura di Genova, il quadro è completo. «I razzi di segnalazione - questo il racconto dell’ultrà - li abbiamo acquistati nei negozi di nautica di via Gramsci, li abbiamo messi nella cintura dei pantaloni sotto la maglia e siamo entrati allo stadio senza problemi». E il Maroni serbo, Ivica Dacici, che è anche vicepremier, si chiede come sia potuto accadere che «un piccolo gruppo di tifosi sia riuscito a influenzare la sospensione della partita». Comunque sia andata, insomma, è stato un insuccesso. Grave per chi, come Maroni, ha fatto della sua battaglia contro la violenza negli stadi il suo fiore all’occhiello. Ovviamente è molto più facile risolvere il problema degli incidenti stradali vietando la circolazione. Ed è quello che la premiata coppia Maroni e Manganelli hanno messo in atto da noi, rendendo sempre più accidentato il percorso che un povero cristo deve compiere per poter assistere a una partita di calcio (una volta bastava avere i soldi per comprare il biglietto, bei tempi). E così la prima volta che la polizia si ritrova a dover fronteggiare un problema - serio, senza dubbio - va in crisi. E non sa far altro che assistere impotente allo spettacolo per poi agire nottetempo all’uscita dallo stadio. La polemica si è trasferita da Marassi a Montecitorio. Il Pd ha chiesto al ministro dell’Interno come siano potuti entrare allo stadio gruppi violenti e armati di spranghe, bastoni e petardi di vario genere, il capogruppo dell’Idv alla Camera Donadi si è spinto fino a chiedere le dimissioni del ministro. Di fatto c’è che la partita non si è giocata e che abbiamo rimediato una figuraccia di quelle che non si dimenticano.
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