di Tommaso Della Longa L’Italia è proprio un Paese strano, dove proiettili deviati, sassi che volano, perizie inventate sono questioni quotidiane. O almeno, lo sono quando dalla parte dei cattivi non c’è un malvivente comune, ma un tutore dell’ordine, un agente di polizia, uno di quelli che dovrebbero farci dormire sonni tranquilli. È’ passato un anno da quando l’agente scelto della Polizia stradale Luigi Spaccarotella ha ucciso con un colpo di pistola il giovane dj romano Gabriele Sandri, in viaggio verso Milano sull’autostrada A1 per andare a vedere con gli amici la partita di serie A Inter-Lazio. Un anno fatto di silenzi imbarazzati e di tentativi di infangare la memoria di Gabbo, con una gestione dell’informazione pessima da parte di media e istituzioni. Se nessuno è riuscito a togliere dalla mente di tutti gli italiani che un ragazzo solare è stato ucciso senza un perché, è anche grazie alla famiglia Sandri che ha ribattuto volta per volta tutti i colpi bassi che arrivavano. E che soprattutto ha affrontato la tragedia di perdere un figlio e un fratello in modo composto e fermo, una rarità nel mondo dei drammi urlati in televisione. Una famiglia che si è garantita il rispetto e l’ammirazione di tutta l’Italia. Oggi è passato un anno dalla morte di Gabriele e per ricordare quella maledetta domenica ne abbiamo voluto parlare con il fratello Cristiano, il punto di riferimento e il portabandiera della richiesta di giustizia per Gabbo.
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A un anno di distanza dall’omicidio di Gabriele, quali sono le sensazioni? È vero, è passato un anno, ma per me è come se si fosse fermato il tempo. In tutto questo tempo ho continuamente sentito la vicinanza di mio fratello che mi ha fatto avvertire di meno la sua mancanza. Lo sento qui con me, d’altra parte, lo spirito e l’anima non ce la possono togliere. Gabriele è qui al mio fianco e lo sarà per sempre.
L’Italia intera vi si è stretta intorno. C’è ancora l’affetto della gente? Assolutamente sì. Abbiamo sempre avuto il sostegno di tutti gli amici e della gente comune che non ci ha mai lasciati da soli e che non ci ha mai fatto mancare la solidarietà e l’affetto umano. Tantissima gente non si è fatta influenzare dalla comunicazione distorta e anzi ha cercato di informarsi autonomamente con tutti i canali possibili, visto che la morte di Gabriele raramente veniva trattata per quella che è, ovvero un omicidio.
Chi aveva cercato di cambiare la realtà, quindi, ne è uscito sconfitto? Manipolare la realtà dei fatti non è servito a nulla, soprattutto quando ci sono migliaia di persone che ancora ragionano con il proprio cervello. E così la gente non ha mai dimenticato. Volevo riconoscere a Rinascita il ruolo svolto e la puntualità dell’informazione da subito corretta. Forse è stato l’unico giornale che non ha dovuto virare e cambiare posizione, come stanno facendo tanti in questi ultimi tempi.
Il vostro ruolo, quello della famiglia, è poi stato fondamentale per salvaguardare l’immagine di Gabriele. Noi semplicemente stiamo portando avanti con tenacia e fermezza questa nostra battaglia, questo sentimento di giustizia che è dovuto a Gabriele.
"11 novembre 2007 – L’uccisione di Gabriele Sandri una giornata buia della Repubblica", è il libro scritto da Maurizio Martucci per fare luce su quella maledetta giornata. Come sta andando l’iniziativa? Voglio sottolineare l’importanza del libro che è nato prima di tutto da una necessità, quella di raccontare la verità. Ovviamente non si tratta di un’iniziativa commerciale, ma è un modo per far entrare la verità nelle case di ogni italiano. E i proventi saranno destinati interamente alle attività della Fondazione (un’iniziativa voluta dalla famiglia Sandri e dal Comune di Roma per combattere il disagio giovanile nel nome di Gabriele, ndr). In queste settimane, inoltre, abbiamo organizzato molte presentazioni del libro che noi abbiamo voluto chiamare "eventi verità" e sono molto felice di poter dire che sono tutte andate molto bene e che il libro ha un buon seguito. Grazie anche ai molti amici che ci circondano, l’interesse del libro sta valicando i confini regionali e prossimamente saremo in molte città d’Italia come Milano, Genova, Cagliari, Bari.
Facciamo il punto della situazione sulla Fondazione. Quando nascerà ufficialmente? Oggi doveva prendere il via il comitato per la raccolta fondi per le attività, ma il Sindaco di Roma è impegnato nel viaggio della memoria, quindi la presentazione dovrebbe essere organizzata in settimana. La fondazione vede come soci fondatori il Comune di Roma e la nostra famiglia. Poi hanno chiesto di partecipare la Regione Lazio, la Provincia di Roma, le società di Lazio e Roma e la Figc. Come famiglia abbiamo fatto tutto quel che dovevamo e anche più del dovuto, visto anche la nostra condizione. Ora non dipende più da noi.
Il derby è tra pochi giorni. Ci sono iniziative in programma? No, ancora non c’è nulla di organizzato. Speriamo che sia un derby nel nome della correttezza e in ricordo di mio fratello, come è stato quello dell’anno scorso, quando mio padre è andato in Curva Sud. In quell’occasione tutti parlavano solo ed esclusivamente del risultato calcistico e non dello splendido spettacolo messo in scena dalla Nord e dalla Sud. Se fossero successi incidenti, invece, si sarebbe sicuramente parlato degli ultras.
C’è qualche attestato di vicinanza dal mondo della politica che ti ricordi particolarmente? Mi viene subito in mente l’incontro avuto con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha subito chiesto giustizia e si è schierato con noi. In confronto ad altri pavidi, ad altri politici senza coraggio che avevano il timore di parlare, è stato un fatto importante. Poi sicuramente non posso dimenticare Veltroni che come sindaco di Roma ha proclamato il lutto cittadino, ha organizzato la camera ardente in Campidoglio, ha gettato le basi per la Fondazione, assegnando anche come sede il palazzo di piazza della Libertà dove è nata la Lazio.
A che punto siamo nell’iter giudiziario? Penso che almeno altri due anni ci vorranno ancora. Il 16 gennaio prossimo ci sarà l’udienza preliminare. La novità è che l’avvocato Renzo è stato sollevato dall’incarico: forse anche l’imputato si è reso conto degli errori commessi come le scuse mediatiche che ci sono state recapitate via agenzia di stampa due giorni prima del processo. Voglio ribadire inoltre che in un anno le scuse non ci sono mai arrivate. Anche il nostro parroco era in difficoltà su questa vicenda, visto che non è mai stato contattato. Noi siamo sempre più convinti della tesi che abbiamo sempre sostenuto, ovvero che Spaccarotella ha sparato un colpo intenzionalmente verso la macchina di mio fratello. Questo è un processo di testimonianze, che ci sono e parlano chiaro. È un caso di scuola sull’omicidio volontario con dolo eventuale. Quando ha sparato l’agente si è preso tutta la responsabilità. Ora ci aspettiamo una giustizia che sia giusta. E fino a prova contraria abbiamo ancora fiducia.
Un commento sulle fantomatiche minacce a Spaccarotella. Prima di tutto voglio dire che la colpa della sua sovraesposizione mediatica è solo ed esclusivamente del soggetto stesso. Casi come quello dell’avvocato Molino che mostra la catenina di mio fratello spezzata o come quello delle scuse in diretta tv fanno sì che non si parli d’altro.. Quando sento parlare delle minacce mi vien da pensare che forse sarà colpa dei servizi segreti o dell’ispettore Gadget. Ancora oggi infatti nessuno sa chi è, nessuno conosce la sua faccia.
Infine, volevi aggiungere qualcosa sugli scontri avvenuti un anno fa a Roma? Se è vero che la storia non si fa con i se e con i ma, forse bisognerebbe domandarsi cosa sarebbe successo se Roma-Cagliari (la partita che doveva essere giocata la sera dell’11 novembre 2007, ndr) fosse stata sospesa dal pomeriggio e se ci fosse stata subito un’assunzione di responsabilità. Bisognerebbe chiedersi se quei fatti sarebbero accaduti ugualmente.
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