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DAVIDE LIBERO











Curve chiuse e stadi vuoti, tifosi tra colpe e ragioni

 

FONTE Calcio Press

 

I dati numerici sull’afflusso di pubblico negli stadi italiani sono in costante peggioramento.
A questo punto non è più una questione legata alla categoria. La trasversalità del fenomeno è palmare. In serie A, in serie B, in Prima e Seconda Divisione di Lega Pro le tribune il più delle volte sono semivuote.
E’ deprimente assistere dal vivo a una qualsiasi partita non di cartello dei nostri campionati professionistici. Lo stesso calcio da salotto propinato dalle pay per view o dalle tv in chiaro è sempre più indigesto, visti gli ampi spazi liberi sulle tribune e la mancanza di colore.
I confronti con le stagioni precedenti risultano largamente perdenti in quanto a valori medi. Per carità di patria evitiamo di entrare sul terreno di penosi raffronti con altre realtà professionistiche europee. Germania e Inghilterra, ma anche Spagna e Francia, ci surclassano su tutti i fronti. Davvero umiliante mettersi a snocciolare i nostri piccoli numeri, quasi da sotterrarsi per la vergogna.
Gli stadi italiani si svuotano, ormai è un dato di fatto. Le cause dovrebbero essere note (più o meno) a tutti, ma evidentemente non è così. Chi nelle stanze dei bottoni dovrebbe adoperarsi a vario titolo istituzionale per tutelare il nostro derelitto calcio – tra l’altro una delle maggiori risorse finanziarie del nostro altrettanto derelitto Paese, che dà lavoro a un numero rilevante di occupati – non muove foglia.
L’acquisto del biglietto per assistere a una partita di calcio sta diventando un problema serio. I paletti burocratici diventano sempre più scoraggianti, quasi insormontabili. Casms, Osservatorio, Questure e Prefetture fanno a gara per tenere lontana la gente dagli stadi. La controversa introduzione della Tessera del Tifoso è stato il colpo di grazia. Accade così che in moltissimi, alla fine, decidano di lasciar perdere e di restarsene a casa. Il disamore e il disincanto dilagano, anche perché in giro di soldi da buttare ce ne sono pochi.
Le trasferte proibite e le curve chiuse continuano ad alimentare l’emorragia di tifosi, affossandone l’entusiasmo e riducendo in modo drastico i ricavi da ticketing (già di per sé poco cospicui in Italia). Circostanze messe mirabilmente a fuoco nel recente libro-denuncia di Contucci e Francese “A porte chiuse (gli ultimi giorni del calcio italiano)”. Accade così che gli stitici bilanci delle società sono sempre più nelle mani della pay tv, allo stato delle cose unico finanziatore certo e affidabile del sistema.
L’obsolescenza degli impianti, vecchi e fatiscenti in Italia come pochi altri in Europa, è un altro dei fattori critici. E’ paradossale costringere degli spettatori paganti ad assistere in condizioni tanto disagiate a uno spettacolo (perché altro non è una partita di calcio). La costruzione di stadi nuovi o l’ammodernamento dei vecchi dovrebbe rappresentare una priorità, ma gli anni passano e non accade nulla di significativo.
Le soluzioni sarebbero a portata di mano. Si tratterebbe, semplicemente, di riportare i tifosi al centro di un sistema dal quale sono stati colposamente emarginati pur essendone il pilastro portante.
Se gli organi preposti ai vari livelli prendessero di petto le vere cause del desolante svuotamento degli stadi, senza nascondersi dietro alibi paradossali scaricando su altri colpe che sono solo proprie allo scopo di preservare il mediocre “status quo” e le loro (comode) poltrone, tutto potrebbe cambiare. E’ già avvenuto altrove, per la lungimiranza di dirigenti e politici a tutti i livelli guidati da un vero senso delle istituzioni. Perché non in Italia? Questa è la domanda.