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Il capo dei Ros Ganzer si accordò con i narcotrafficanti

 

Dopo Ris, il maresciallo Rocca e Carabinieri, chissà se ora la tv ci propinerà un nuovo serial dal titolo "Criminali in divisa" per raccontarci le gesta del generale dei carabinieri Giampaolo Ganzer, descritto come una «personalità preoccupante» nelle motivazioni della sentenza apparse ieri, dopo la condanna a 14 anni di reclusione ricevuta lo scorso luglio per traffico internazionale di droga. Chissà cosa dirà Roberto Saviano su questo generale che aveva messo in piedi, stando a quanto ha accertato la magistratura, la più grossa rete di narcotraffico vista in Italia. Nell'attesa i giudici dell'ottava sezione penale di Milano, presieduta da Luigi Caiazzo, hanno espresso giudizi durissimi. L'attuale comandante del reparto operativo speciale dell'Arma, è stato descritto come una personalità capace «di commettere anche gravissimi reati per raggiungere gli obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione». Motivo che ha portato la corte a rifiutargli la concessione delle attenuanti generiche. Secondo i magistrati Ganzer «non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di sostanze stupefacenti con la collaborazione dei militari e intascarne i proventi, con la garanzia dell'assoluta impunità». Agendo in questo modo egli avrebbe dato vita ad arresti e megasequestri di droga - da lui stesso immessa sul mercato - con l'obiettivo di ottenere «dei risultati di immagine straordinari per se stesso e per il suo reparto». Egli ha tradito - scrivono ancora i magistrati - il dovere «di essere leale con gli altri organi dello Stato con i quali avrebbe dovuto collaborare, di fare rispettare le leggi dello Stato, di contrastare la delinquenza e non favorirla (...), di essere d'esempio per tutti gli uomini che gli erano stati affidati». L'imputato, sottolineano i suoi giudici, «ha evitato, per quanto gli è stato possibile, di esporsi, facendo figurare altri come responsabili di iniziative che invece erano sue». Colpisce, si legge ancora nelle motivazioni, «nel comportamento processuale di Ganzer, non tanto il fatto che non abbia avuto alcun momento di resipiscenza (...) ma che abbia preso le distanze da tutte le persone che, con il suo incoraggiamento, avevano commesso i fatti in contestazione». Il generale si è trincerato «sempre dietro la non conoscenza e la mancata (e sleale) informazione da parte dei suoi sottoposti. Per sfuggire alle responsabilità ha «preferito vestire i panni di un distratto burocrate che firmava gli atti che gli venivano sottoposti».