Domenica 23 Maggio 2010, penultima di Serie B, Grosseto-Reggina. Dal settore ospiti delle gradinate del Carlo Zecchini spunta una bandiera tricolore, bande verticali verde, bianco e rosso (art. 12 della Costituzione) con scritta Giustizia per Gabriele. Il riferimento è esplicito, all’iter giudiziario sul delitto Sandri (all’epoca in corso), sentenziato sette mesi dopo in appello con condanna per omicidio volontario per l’agente Luigi Spaccarotella. Ma per la Questura grossetana l’esposizione di quel drappo nazionale con frase garantista equivalse alla consumazione di un reato, punibile a norma di legge. E una volta identificato, il tifoso reggino si ritrovò diffidato con DASPO e impossibilitato per 2 anni ad accedere a tutte le manifestazioni di football nazionale e internazionale. Colpa il provvedimento a firma Maria Rosaria Maiorino, Questore in gonnella in uscita della Provincia di Grosseto, sostituito poco dopo da Michele La Ratta (l’anno prima fu proprio lui a gestire l’ordine pubblico nei festeggiamenti romani della finale di Champions League tra Manchester United e Barcellona). Motivo? A detta del Questore, la scritta Giustizia per Gabriele risultava il “sintomo di spregiudicatezza e insofferenza alle regole che disciplinano attraverso una legge specifica dello Stato tutte le manifestazioni sportive di qualsiasi livello”, essendo “pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica”.
RICORSO AL TAR Su ricorso di cittadini il TAR, tribunale amministrativo regionale, è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di atti ritenuti lesivi. E così a Firenze il TAR della Toscana ha analizzato il caso del tifoso reggino, facendo un pò di luce oltre ogni facile stereotipo. Ne è venuto fuori uno spaccato inquietante: per prevenire e reprimere episodi di violenza degenerativa, nei nostri stadi non sempre vengono adottate disposizioni eque ed in linea coi cardini di uno Stato di Diritto moderno ed occidentale. Perché a volte si sconfina confondendo l’interpretazione delle norme con l’arbitrio, debordando in eccessi di repressione preventiva al limite dell’incostituzionalità. “Dall’esposizione di quel vessillo – si legge nel documento vergato dai magistrati toscani e depositato lo scorso 19 Gennaio – non risulta derivato alcun episodio di violenza”, dato che la stessa Questura di Grosseto “attestava che l’ordine pubblico si è svolto regolarmente” prima, durante e dopo la partita coi calabresi. Allora, prosegue il ragionamento dei togati, “la richiesta di Giustizia per Gabriele può intendersi quale libera manifestazione del proprio pensiero e che (…) tale ricostruzione (fatta dal Questore per la spregiudicatezza, insofferenza e pericolosità pubblica della bandiera - NdR) non è condivisibile, non potendo essere invocata a tal fine la strumentalizzazione dell’episodio come oggettiva incitazione alla violenza, laddove il vessillo esposto si limitava a chiedere ‘giustizia’ senza alcuna allusione al comportamento delle Forze dell’Ordine o di altri soggetti”.
CONDANNATO MINISTERO INTERNO Fino a prova contraria in Italia non è ancora vietato chiedere giustizia e anzi non è affatto reato, tanto meno se la si richiede in modo civile e per giunta in uno spazio pubblico come uno stadio di calcio, dove oltretutto la proprietà dell’impianto è quasi sempre del Comune. La sentenza è stata quindi netta e chiara: quel Giustizia per Gabriele ostentato su sfondo tricolore va considerato come la manifestazione di un diritto individuale garantito dalla Costituzione, che all’articolo 19 tutela la libertà di pensiero e all’articolo 21 la preserva anche in forma scritta (come per striscioni, stendardi, pezze o bandiere). “Questo verdetto è una grande vittoria”, è il succinto commento dell’Avvocato Giovanni Adami, legale del ricorrente. La seconda sezione del TAR Toscana ha accolto in pieno il ricorso inoltrato dal tifoso reggino, giudicando illegittimo il DASPO inflittogli, condannando il Ministero dell’Interno al risarcimento di 2 mila euro. |