LECCE – Nessuna premeditazione, innanzitutto, e questo si evince chiaramente fra le righe di una sentenza che fa chiarezza su un punto nodale: alla base, un errore umano nell’indirizzare i tifosi del Lecce nel settore giusto, con tutto ciò che quel giorno ne conseguì. Ovvero, trovarsi sotto la curva degli ultras del Torino, assediati, e, si può desumere, dopo che persino un vetro saltò in aria bersagliato da una pietra, costretti in qualche modo a difendersi, negli istanti di baruffa che precedettero l’arrivo delle volanti per disperdere gli scontri, prima che la situazione degenerasse. Finisce con l’assoluzione per due ultrà leccesi, imputati per un episodio avvenuto il 31 agosto del 2008, nel corso del campionato di serie A, e di cui si discusse molto nelle cronache, il primo troncone di un processo che vede coinvolte anche altre persone, a giudizio nelle prossime settimane. Salvatore De Matteis, 33enne e Giuseppe Campobasso, 35enne, entrambi leccesi, erano accusati – nello specifico - del possesso di oggetti atti a offendere, reato contestato in concorso (stralciata, in precedenza, la posizione di un terzo giovane, fermato quel giorno insieme con loro). Gli oggetti in questione, per la precisione, “cinte brandite come armi”. Entrambi furono immortalati dalle videocamere una volta raggiunto (con evidente difficoltà) il settore giusto. Quello riservato ai tifosi giallorossi, appunto. La storia è nota. Quel giorno, diversi tifosi del Lecce, raggiunsero Torino per assistere alla gara, a bordo di pullmini e auto. La carovana, tuttavia, in via Filadelfia, quasi in prossimità dello stadio Olimpico, si bloccò per cercare di capire quale fosse la strada giusta da imboccare per giungere nel settore ospiti. Come ricostruito nella stessa sentenza del giudice del tribunale piemontese, Giorgio Gianetti, i tifosi “transitarono, per un errore logistico delle forze dell’ordine, in corrispondenza del settore riservato alla tifoseria del Torino e poco dopo furono bersagliati […] da lanci di oggetti che infransero pure il vetro di uno dei veicoli”. A tale proposito, esiste anche una testimonianza precisa in sede processuale. Qualcuno fra gli agenti di una volante diede un’indicazione errata. E’ chiaro che i leccesi si ritrovarono, loro malgrado, coinvolti in un mezzo assedio. Quando finalmente arrivarono nel settore ospiti, De Matteis e Campobasso furono immortalati e anche riconosciuti da un ispettore della Digos torinese, mentre rimettevano le cinte nei pantaloni. Tuttavia, vista la ricostruzione dei fatti e visto anche, spiega il giudice, che una cintura dei pantaloni non si può assimilare per le caratteristiche, né ad un’arma impropria, né ad un oggetto atto ad offendere (la fibbia in metallo era pure di dimensione normali), sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Gli indagati erano rappresentati dagli avvocati Romeo Russo, Claudio Strata e Giuseppe Milli. E proprio quest’ultimo, tiene a fare qualche considerazione. Partendo da un presupposto: ci sono voluti due anni e quattro mesi per raggiungere un verdetto d’assoluzione, ma nel frattempo, entrambi hanno scontato una diffida di due anni. “Il codice di procedura penale, nell’articolo 314, stabilisce il diritto ad una congrua riparazione per chi ha subito un’ingiusta detenzione. Perché oggi, i ragazzi ingiustamente accusati, dopo aver scontato due anni di daspo, non possono ricorrere alla Corte d’appello per ottenere un risarcimento, visto il diritto di libertà limitata, magari proporzionata al tipo di misura sofferta?”. Un interrogativo che resta tuttora aperto. |