«L’intero pianeta calcio è caratterizzato da un elevato rischio criminale», avverte Giovanni Melillo, procuratore aggiunto a Napoli, coordinatore del primo pool costituito in Italia per indagare sui reati da stadio. Il magistrato boccia la tessera del tifoso, propone di vietare l’accesso alle manifestazioni sportive ai condannati per reati gravi e sottolinea: «Tocca allo Stato respingere la pretesa dei gruppi violenti di governare le curve. Altrimenti, prima o poi, saranno gli altri a costringerci a farlo, magari escludendo le squadre italiane dalle competizioni europee». Procuratore Melillo, qual è il quadro delineato dalle vostre indagini? «A Napoli lo scenario è segnato da intensi condizionamenti della criminalità organizzata. Altrove non c’è una sorta di legge di camorra a regolare i rapporti all’interno e fra i gruppi organizzati e prevalgono invece derive estremistiche, razziste e xenofobe. Ma alcuni fattori di allarme sono comuni». Quali? «Interi settori degli stadi sono sottratti all’autorità dello Stato e, di fatto, controllati da gruppi violenti che si nutrono di odio per lo Stato e la polizia. Mirano a condizionare la gestione delle società venendo di fatto tollerati, se non blanditi, da dirigenti e giocatori. L’altro fattore riguarda il calcio minore che, almeno nel Meridione, somiglia a tanti piccoli gironi infernali: qui la correttezza delle competizioni e la sicurezza di atleti e spettatori diventano una pia illusione». Il Viminale però ha elogiato i risultati della tessera del tifoso. «Se vogliamo guardare ai fatti con sano realismo, dobbiamo riconoscere che negli stadi, oggi come ieri, non prevalgono certo sicurezza e tranquillità. Per non parlare delle aree che circondano gli impianti sportivi, teatro di agguati e scontri alimentati molto spesso proprio dai gruppi che rifiutano la tessera del tifoso». Dunque la tessera non ha funzionato? «Non è servita a molto. Soprattutto, non sembra poter garantire per il futuro. Il caso recente della partita Lecce-Bari lo dimostra. In generale, il sistema impone sfiancanti controlli burocratici su tutti i tifosi e non agevola significativamente il controllo dei rischi collegati al comportamento dei nuclei violenti. In qualche modo, poi, la tessera del tifoso crea un’impropria commistione fra funzioni di prevenzione dello stato e strategie di marketing private forse un po’ allegre, come dimostra il recente richiamo del garante della privacy». Il Viminale vuole sugli spalti gli steward, non i poliziotti. «Sono d’accordo sulla necessità di responsabilizzare le società. Ma lo Stato deve isolare e neutralizzare i nuclei del tifo violento. Nelle curve è difficile entrare per i poliziotti, figuriamoci per gli steward». Dove si può intervenire secondo lei? «Nessuno può avere la soluzione per problemi così delicati e complessi. Ma bisogna ragionare sulla possibilità di potenziare gli strumenti normativi già esistenti come il Daspo. In questa condivisibile prospettiva si muovono alcune recenti proposte legislative. L’area di applicazione del Daspo potrebbe essere estesa per tenere lontano dagli stadi anche chi sia già stato condannato per reati gravi. Lasciare fuori dalle curve mafiosi, rapinatori e trafficanti potrebbe essere un buon inizio». |