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L'ENNESIMA PAGLIACCIATA DELLO STATO ITALIANO: LA TESSERA DEL TIFOSO (ventiduesima puntata)

 

Tessera del Tifoso, Federsupporter e Codacons: solo business

 

E' sempre la tessera del tifoso al centro della battaglia di trasparenza e legalità lanciata da Federsupporter e Codacons esattamente un anno fa. Federsupporter, associazione nata con lo scopo di dar voce a chi il calcio lo segue per passione, ha voluto presentare insieme alla Consob un primo bilancio consuntivo sull'applicazione di tale programma imposto dal Ministero dell'Interno a tutte le società sportive calcistiche nazionali, in concomitanza con la chiusura del girone d'andata del campionato di calcio di Serie A.
“No payment without representation” recita l'idea alla base dei principi che hanno portato alla creazione di Federsupporter. La tessera, denuncia l'associazione, non “fidelizza” il tifoso, come si vorrebbe far credere, facendolo invece fagocitare da un marasma di diritti alla privacy violati, scarsa trasparenza, circuiti bancari, business schizofrenico.
E' dal 2002 che il Ministero lavora al programma tessera del tifoso, ma l'idea è trapelata ai grandi media solo pochi mesi prima della sua entrata in vigore, nel 2009: la carenza di trasparenza è nel dna del programma, visto che in 10 anni di vita se ne è parlato solo nell'ultimo anno.
Se il terrore della violenza ultrà ha portato alla tessera del tifoso, la tessera, dal proprio canto, ha portato una violenza del business del calcio verso chi, del calcio, è “consumatore”: il tifoso. Il business che ruota attorno al programma del Ministero, denuncia Alfredo Parisi di Federsupporter, è spaventoso, per volume e introiti: l'associazione stima che attorno alle sole spese di gestione della carta (tariffe di prelievo, di ricarica, di sottoscrizione, etc) ogni possessore mediamente spenda oltre 200 euro l'anno, che fanno la bellezza di oltre 130 milioni di euro l'anno (solo di spese) incassati sulle fee delle operazioni: soldi che vanno alle banche, non alle società sportive, alla federazioni, alle associazioni di tifosi. Insomma, soldi che non tornano al mondo del calcio. Le banche ringraziano.
E poi c'è l'annosa questione dei diritti non rispettati, come anche sottolineato dal Garante della Privacy due settimane fa. Non ultimo il rischio “laboratorio sociale”, dove si sperimentano cioè nuove forme di controllo sociale (in dicembre la proposta di Maroni della “tessera del manifestante”, progetto embrionale del Ministero dell'Interno). La soluzione a tutto questo c'è, basterebbe guardare in Europa: Inghilterra, Germania, paesi dove andare allo stadio è un piacere e non un sacrificio.
Spagna, dove il calore del tifo ultrà spagnolo è mitigato dalla lungimiranza di business delle società e dall'azionariato popolare, che toglie il pallone al mondo dell'economia restituendolo al mondo dell'impalpabile e dimenticata passione sportiva. Non è una tessera a legittimare il tifo; l'unica cosa che fa è inglobare il tifoso nel business, garantendogli comunque un controllo sociale totalizzante. Questo significa calcio, oggi, sugli spalti italiani.