Ci pensavo da giorni, intrigato da un dibattito che la ribellione delle curve di tutti gli stadi d’Italia aveva imposto all’attenzione generale. Ci pensavo e non sapevo scegliere, attratto ora da una teoria («Me ne frego se penalizzo la Roma, io non mi piego e proseguo la mia battaglia di principio»), ora da quella contraria («Non si può decidere anche per conto degli altri, io voglio continuare ad andare allo stadio e condurre semmai battaglie diverse»). Ascoltavo pareri spesso contrapposti, comunque non conciliabili. Nella radio che dirigo, Rete Sport, il dibattito ha conosciuto voci dissonanti e, al netto delle considerazioni più misere, speravo anch’io, come gli ascoltatori, di farmi un’idea più precisa. Poi è stato un attimo. Nella sera più brutta per chi, come me, il primo occhio entrando allo stadio lo butta verso la Sud, nella sera della partita con le curve chiuse, in un secondo ha deciso per me un’anima da sempre orientata verso la ribellione intellettuale. E quando ho sentito che una porzione maggioritaria dei settori accessibili (quasi tutti i Distinti Sud, un bel pezzo di Tevere e uno spicchio di Monte Mario) ha elevato alto nel cielo scuro sopra l’Olimpico quel motivetto sul Vesuvio che mai nella vita mi sarei sognato di assecondare, mi sono sciolto anch’io in un applauso liberatorio. TRIBUNA STAMPA - Ero in tribuna stampa, è vero, e un giornalista nell’esercizio delle sue funzioni non dovrebbe esprimere consenso o dissenso in maniera così sfacciata. Ma sono un cittadino, prima di essere un cronista, e domenica sera ero un cittadino presente ad un evento di ribellione non violenta che in quel momento mi è sembrato giusto condividere. L’evento, non certo l’odioso canto. Il punto era un altro: quello stadio “ripulito” dai razzisti tenuti finalmente fuori – questo almeno deve aver pensato il burocrate tipo che da sempre decide per i tifosi senza mai aver messo piede in uno stadio – ricantava, e con rinnovato vigore, lo stesso coro dei reietti. Semplice e spiazzante provocazione intellettuale di massa. Così però, dice la vocina della coscienza tifosa, ci va di mezzo la Roma: dopo i settori chiusi ci sarà lo stadio vuoto e poi la penalizzazione in classifica. Forse sì, forse no. Forse il dibattito che solo questa ribellione, e non altro, ha favorito porterà tutti ad un’altra riflessione: quella norma è semplicemente sbagliata e va cambiata. E il problema va affrontato – e risolto – guardando da un punto di vista più alto, coinvolgendo diverse componenti, magari anche le rappresentanze dei tifosi, ormai mature e competenti ben più di quelli che si arrogano il diritto (politico) di decidere per gli altri. Il popolo italiano non si può educare chiudendo le curve. E io applaudo chi rifiuta ogni soluzione grossolana a questioni così importanti. |