ROMA - La tessera del tifoso rappresenta l'ultimo tassello di un mosaico fatto di leggi "speciali" per cercare di tenere sotto controllo il fenomeno ultras. All'Università di Roma Tre per fare il punto sulla situazione in Italia - confrontandola con il modello inglese - si sono incontrati giuristi e scrittori che hanno affrontato l'argomento da diversi punti di vista.
Il professor Luca Marafioti, docente di Diritto Processuale Penale, individua almeno tre approcci con cui di solito ci si avvicina al cosiddetto "mondo ultras": "L'emotivo, che è quello dei tifosi; il repressivo, che è quello del legislatore; e poi il peggiore dei tre, l'approccio intellettualoide: cioè parlare di un tema senza conoscerlo e senza basarsi su dati di fatto". In Inghilterra prima e in Italia poi il "microcosmo" degli ultras, secondo Marafioti, è stato letteralmente vivisezionato: "Le curve hanno rappresentato un laboratorio di legislazione speciale, i tifosi sono stati usati come topini".
Diego Mariottini, ex ultras e autore di libri sul fenomeno, da storico fa una carrellata cronologica sui fatti tragici che hanno segnato in modo indelebile il tifo in Italia: "1963, Giuseppe Plaitano; 1979 Vincenzo Paparelli; 1995 "Spagna"; l'annus horribilis 2007 prima con Filippo Raciti, poi con Gabriele Sandri". Date e nomi impossibili da dimenticare: tanti punti di non ritorno che - sull'onda emotiva - hanno portato periodicamente a nuove leggi "speciali" per arginare il tifo violento, dure nella teoria ma disapplicate nella pratica.
La testimonianza di Francesco Caremani, autore del libro "L'Heysel: una tragedia mediatica", è di certo la più toccante: nel 1985 in quello stadio poteva esserci anche lui, nell'infernale settore "z" finirono invece tante persone a lui care che non fecero ritorno a casa. Per questo, a distanza di tempo, Caremani non accetta l'operazione di "rimozione" della memoria da parte della Juventus e del Belgio, non perdona la violenza degli hooligans inglesi e non può giustificare l'inerzia dell'Uefa che all'epoca dei fatti "non era responsabile di quello che accadeva all'interno degli stadi" e provò a far passare come fatalità quella che invece era una tragedia annunciata.
Il giornalista Luca Manes illustra alcuni punti del tanto citato - spesso a sproposito - "modello inglese": "Per arginare il fenomeno del tifo violento la prima stretta venne dal governo Tatcher che - negli anni Ottanta - si affidò a costosissime e infruttuose operazioni di polizia preventiva per combattere un sistema al collasso". Ma la svolta arriverà anni dopo: "Nel 2000 con una legge liberticida e con il prepotente ingresso della pay-tv nel business del calcio". Nel moderno corporate football le telecamere si moltiplicano all'interno dello stadio per la partita, ma anche all'esterno per tenere sotto controllo i tifosi: il Grande Fratello in Inghilterra (1 telecamera ogni 14 abitanti) diventa realtà.
A differenza della membership card inglese, emessa dalla società di calcio come "carta fedeltà" per i supporter, la tessera del tifoso italiana rappresenta una vera e propria schedatura a livello nazionale, come sostiene Diletta Perugia, dottoranda di Diritto Processuale Penale: "Le questure possono accedere agli archivi con i nomi dei tifosi e hanno la possibilità di bloccare la tessera, stilano una black list degli indesiderati". Anche il daspo e l'arresto in flagranza differita suscitano "notevoli perplessità a livello giuridico". Gli ultras rappresentano dunque una "categoria debole": vessati e poco tutelati. "Cavie" da laboratorio. |