Il tifoso pestato chiede i danni alla Polizia |
Tratto da www.bresciaoggi.it |
AL VIA IL PROCESSO. A Verona è iniziato il procedimento a carico di otto poliziotti che all'epoca dei fatti erano in servizio alla «Celere» della questura di Bologna. Paolo Scaroni restò in coma due mesi per le botte del 24 settembre 2005. Chiamato in causa anche il ministro Maroni. |
Sette poliziotti e il ministro dell'Interno. Sono chiamati a rispondere dei calci e delle manganellate alla testa che hanno trasformato Paolo Scaroni, 34 anni, tifoso del Brescia, da un giovane allevatore di tori in un invalido al cento per cento, dopo due mesi di coma profondo. È cominciato ieri a Verona il processo a sette agenti della Celere di Bologna accusati di aver picchiato il tifoso del Brescia la sera del 24 settembre 2005, quando in stazione stava per salire sul convoglio dei tifosi diretto a Brescia. Gli imputati sono accusati di lesioni gravissime a aggravate dal numero di persone e dall'uso di armi e sostanze corrosive. Ai sette poliziotti nella prossima udienza, fissata per il 23 settembre, se ne aggiungerà anche un ottavo. E il 23 in aula ci sarà anche il legale del ministro dell'Interno Roberto Maroni. IL DIBATTIMENTO è durato poco più di mezz'ora, il tempo sufficiente per accogliere la partecipazione di Scaroni al processo, come parte civile difeso dall'avvocato Sandro Mainardi e del ministro Maroni come responsabile civile dell'accaduto. In aula non era presente Scaroni, nè i poliziotti (Luca Iodice, 35 anni; Antonio Tota di 38, Massimo Coppola di 38 anni, Michele Granieri di 29 anni, Bartolomeo Nemolato di 31 anni, Ivano Pangione, 40 anni e Vladimiro Rulli di 44 anni). DAVANTI al giudice gli imputati sono arrivati dopo due richieste di archiviazione avanzate dalla procura e rigettate dal giudice, fino al rinvio a giudizio deciso nel settembre dello scorso anno: l'accusa aveva continuato a sostenere che i presunti responsabili non potevano essere individuati, ma poi i nomi sono venuti fuori e alla sbarra sono finiti un gruppetto di «celerini» di Bologna. Una «sqadraccia» per l'accusa, che avrebbe anche inquinato le prove. |