NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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DAVIDE LIBERO











VIVERE LO STADIO: UNA SCELTA NEGATA

 

FONTE:sportpeople.net

 

Partendo da un report abbastanza chiaro dell’Osservatorio del Calcio, dal 1992 la Serie A ha perso ben 1,6 milioni di spettatori, facendo così calare la propria media a 21.964 spettatori a partita. Se a ciò si unisce che lo scorso anno, al termine del girone d’andata, la media di telespettatori delle due pay-tv di riferimento era di 9,2 milioni a giornata (fonte Centro Studi della Lega maggiore), si ha una chiara lettura di uno svuotamento degli stadi, ma altresì richiama ad un vero e proprio nuovo fenomeno: un Calcio sempre più virtuale e sempre più entertainment. Due le cause scatenanti: il ruolo della pay-tv e il rovinoso intervento politico, restrittivo e repressivo.
Le cause dominanti non hanno fatto altro che concatenarsi e pesare in maniera eguale; la pay-tv, da servizio alternativo per chi non poteva vivere le partite allo stadio, si trasforma in perno su cui il calcio si plasma e tende a conformarsi. Il background di trasformazioni nell’ambito dei calendari, partì: prima relegando la Serie B al sabato, sfruttando in seguito i mutamenti post-Calciopoli, facendo trovare un campionato che regalava compagini come Juve, Napoli e Genoa, che per bacino d’utenza si rivelarono un toccasana per le casse della pay-tv. Si registrarono dunque profitti non solo nella massima serie, ma addirittura nella B che, grazie alla diversificazione dei giorni, non creava conflitto ma generava opportunità.
Nel 2008 l’evergreen Mattarrese da il la allo “spezzatino” a cui seguiranno quelle partite-capolavoro alle 12:30 o, nella vecchia C, addirittura alle 11:00. Ad aggravare la situazione già di per sé complicata, l’uno due Pisanu-Maroni: biglietto nominale e Tessera del Tifoso. Ormai il fallimento di queste normative che rasentano l’incostituzionalità è noto, almeno al fine di sconfiggere la violenza e riportare gente allo stadio, perché a riempire le poltrone ci sono riuscite benissimo.
Questo riepilogo di eventi conosciuti e stra-conosciuti serve per porci un quesito: siamo liberi di scegliere se poter vivere la nostra passione allo stadio o vederla in televisione? Se un biglietto di curva in serie A equivale al costo di un abbonamento mensile alla pay-tv, che ti permette di assistere a tutto lo scibile dei campionati nazionali (serie A e B) e quelli internazionali più coppe europee, il dubbio che liberi liberi forse non siamo, si insinua.
L’idea nostalgica e utopica di un ritorno a radioline e alla corsa a “90° Minuto” rimane tale, ma fin quando può durare questo capovolgimento di ruoli, che ha portato la Pay Tv a relegare lo Stadio a un ruolo di comprimario?
Perché ad una prima accezione di problematica economica, se ne aggiunge una logistica e lavorativa: assistere ad una partita al sabato alle 16.00, oppure la domenica alle 11:30 o addirittura alle 15:00 in infrasettimanale, converrete che per una famiglia sia assolutamente proibitivo. Vuoi per il padre che se ha un lavoro, che di questi tempi è pura rarità, non può recarvisi; vuoi perché se si parte dalla provincia a volte è ancora più che impossibile.
La famiglia, cavallo di battaglia di Maroni, grazie alla Tessera del Tifoso doveva ritornare a rivivere lo stadio, ora che la violenza era stata debellata. Al Gr Parlamento nel 2011, l’ex Ministro del Carroccio, disse che si era ottenuta una flessione del 36% di incidenti grazie alla conclamata Tessera: un po’ come dire che con la disoccupazione spariscono le morti bianche.
La Tessera, così funzionale! Tanto che nella semifinale di ritorno di Coppa Italia Napoli-Lazio, gli ospiti dovevano essere tesserati, ma non dovevano essere residenti nella regione Lazio. Aspettavano un esodo dalla Groelandia di tifosi aquilotti.
Riformulo la domanda: siamo sicuri di essere liberi di scegliere se poter vivere la nostra passione allo stadio o vederla in televisione?
La nuova generazione che con fatica si avvicina allo stadio, per i motivi sopra elencati, vive non solo un calcio italiano che è la brutta copia di quello che era, ma soprattutto vive uno stadio trasfigurato pesantemente da cambiamenti e repressioni.
Quello che era uno dei posti di aggregazione più importanti, capace di annullare qualsiasi differenza sociale, di raccontare la passione più verace della provincia italiana, tramandata da padre in figlio, condivisa nello stesso settore, fino a quando quest’ultimo non si indirizzerà in curva. Tra colore, bandiere, fumogeni, posti gremiti fino all’ultimo seggiolino; tra il boato di un gol, la rabbia per l’esultanza della tifoseria avversaria, sfottò e adrenalina. Tutto questo ha lasciato spazio a stadi tristi, semivuoti e famiglie relegate a casa per consumare l’evento in tv tra uno zapping e l’altro.
Non vi riformulo la domanda scritta in precedenza, ma a proposito di libertà: il nuovo che avanza della dirigenza italiana calcistica, nonché numero uno della Figc, Tavecchio ha tuonato sull’esigenza di vietare gli striscioni negli stadi. “Je suis Charlie”, certo, ma non a casa nostra.

 

Gian Luca Sapere