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DAVIDE LIBERO











Vent’anni fa scappai di casa per andare a Salerno, oggi non potrei… la fine del calcio è tutta qui

 

FONTE:orticalab.it

 

Ci sono derby e derby. Quello con la Salernitana, per quelli della mia generazione, per i trentenni e i quarantenni di questa città e di questa provincia, è il derby. Anche se non lo abbiamo mai ammesso, anche se, ancora oggi, il derby è uno è Napoli – Avellino.

Ero ancora un ragazzino quando scappai letteralmente di casa per andare a Salerno, ricordo la paura per quella che sarebbe stata la reazione di mio padre al ritorno, l’adrenalina per quello che sarebbe potuto accadere in campo e sugli spalti, ricordo il caos e la tensione di quel pullman, il timore che m’incutevano i blindati della Polizia, il colpo d’occhio della curva granata, la voce che alla fine di quella giornata non c’era più.

Oggi quel ragazzino non potrebbe provarle quelle sensazioni, non potrebbe mettere da parte i soldi per comprare il biglietto e tenerlo ben nascosto, non potrebbe fuggire di casa con l’animo di chi si avvia a vivere un’avventura irrinunciabile perché di avventuroso, in questo calcio, non c’è più nulla.

Oggi quel ragazzino non potrebbe far altro che accontentarsi di guardare la partita dal divano di casa, tutt’al più, non avendo Sky, dal divano di qualche amico o, questa sarebbe stata la mia scelta, con gli amici al bar attraverso la radio.

Oggi devi fare la tessera persino per fare l’abbonamento, oggi le regole vietano ad un ragazzino di sognare il momento in cui si aprono le porte del pullman in partenza, come vietano a chi ragazzino lo è stato a quei tempi, come me, lo sfizio di tornare a salire quei gradoni, di rivivere quelle emozioni, di tornare a cantare per una volta quei cori fatti di parole vuote, persino stupide, ma che nessuno di noi dimenticherà mai.

E non può bastare certo la retorica anti ultras a legittimare questo regime assurdo posto in essere da uno Stato che Stato non è, nella misura in cui abdica al suo primo dovere: quello di garantire ai suoi cittadini il diritto di godere di uno spettacolo in sicurezza, quello che risponde alla sua inadeguatezza schedando quei cittadini, limitandone e condizionandone la libertà, mortificando il diritto di sognare, di piangere e di gioire di un ragazzino che la tessera non ce l’ha, perché a casa non vogliono o per chissà quale motivo, il diritto di uno qualsiasi di noi, trentenni o quarantenni, spesso costretti dalla vita a vivere fuori città, a tornare lì, in quello stadio e tra quei colori, con gli amici e la sciarpa di un tempo per ricordare a quelli lì che “pisciaiuoli” erano, “pisciaiuoli” sono e “pisciaiuoli” saranno.

Il diritto di uno come me, infine, che ragazzino non è più da tempo, che allo stadio non va più, e che, per una volta, solo per questa volta, avrebbe desiderato rivivere quelle emozioni, quel trasporto, quell’adrenalina. Avrebbe voluto rivivere la gioia di sentirsi chiamare pecoraro e l’orgoglio di esserlo.

Come quel giorno di più di vent’anni fa.