Una storia già vista troppe volte. Nove novembre, in mattinata, Cristian De Cupis, 36 anni, una vita complicata, come tanti, viene fermato dagli agenti della polizia ferroviaria alla Stazione Termini di Roma. Secondo le forze dell’ordine, con versioni diverse e discordanti, avrebbe dato in escandescenze, un normale fermo che diventa in arresto. Resistenza a pubblico ufficiale o pestaggio vero e proprio? Fatto sta che viene condotto all’ospedale romano di S. Spirito. Presenta lividi in fronte ed escoriazioni, denuncia – su consiglio degli stessi medici – i maltrattamenti ma viene trasferito, per ragioni ancora da comprendere presso l’ospedale di Belcolle, a Viterbo, dove viene sottoposto a tutti gli esami di rito, compresa una Tac. L’arresto viene convalidato, si aspetta solo il termine del ricovero per mandare Cristian agli arresti domiciliari. Chi lo incontra lo definisce a tratti agitato e a tratti lucido, ma nulla lascia presagire il seguito. La mattina del 12 novembre Cristian muore, per cause ancora da accertare. I suoi familiari nel frattempo non vengono a sapere nulla, Ricevono una telefonata quando il decesso è già avvenuto. "Ha denunciato, al Pronto Soccorso di un ospedale di Roma, di essere stato pestato dagli agenti della Polfer che lo avevano arrestato. " denuncia il fratello. Il garante per i detenuti, Angiolo Marroni, ha già disposto, in attesa dell’esame autoptico, una nota al ministro della Giustizia e a quello dell’interno, per chiedere chiarimenti e approfondimenti. Sulla morte di Cristian De Cupis, detenuto romano nel carcere di Viterbo, Giovanni Russo Spena, responsabile dipartimento giustizia di Rifondazione comunista, ha dichiarato: “Occorre accertare al più presto le cause della morte di De Cupis. L’episodio è l’ennesima dimostrazione della drammatica situazione in cui versano le carceri italiane: da Stefano Cucchi in poi anche l’opinione pubblica ha realizzato che la tortura, nei nostri istituti di pena, è purtroppo una realtà. Per risolvere il problema delle carceri in questo Paese noi chiediamo e sosteniamo la decarcerizzazione e la depenalizzazione dei reati, per scongiurare o almeno ridurre in primis il sovraffollamento, che è una costante pressoché in tutti i penitenziari italiani. Ci auguriamo che venga fatta luce nel più breve tempo possibile sulla fine di De Cupis. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia del giovane morto a Viterbo”. C’è però la solita atmosfera di omertà, sembra di rivivere l’incubo della storia di Stefano Cucchi e di tanti altri morti di Stato.
“È chiaro che è stato percosso dalla polizia alla stazione Termini. Su questo non ci sono dubbi. C'è anche un testimone, un avvocato, che mi ha telefonato e ha visto tutto”'. Così dal carcere romano di Rebibbia, il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, in riferimento alla morte di Cristian De Cupis, il 36enne arrestato il 9 novembre scorso alla Stazione Termini per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. L’uomo, dopo essere stato condotto all’ospedale Santo Spirito, era stato trasferito in un reparto sanitario nell'ospedale Belcolle collegato al carcere Mammagialla di Viterbo. Dopo aver presentato il progetto di informatizzazione del carcere di Rebibbia accanto al direttore dell'istituto di reclusione Carmelo Cantone e del presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, Giovanni Tamburino, Marroni, parlando del caso De Cupis, ha detto: “Putroppo l'autopsia è stata fatta senza il consulente di parte perché non è riuscito ad arrivare in tempo. Non si capisce come un ragazzo di 36 anni possa morire d'infarto. Mi fido comunque molto del magistrato che ha in mano la vicenda. Mi dicono che è un magistrato molto serio e molto severo”. A proposito della situazione delle carceri nel Lazio, Marroni ha infine sottolineato: “Ci sono ancora carceri troppo affollate. Abbiamo 6.600 detenuti, la capienza è però intorno ai 4.200, 4.300 posti. Ovunque ci sono affollamenti - ha precisato ancora - spazi ristretti, ridotta anche la parte della socialità. Ovunque, inoltre, c'è anche una carenza di polizia penitenziaria che è assolutamente spaventosa. Per questo motivo ci sono assenze tra il personale e la polizia penitenziaria e anche qualche suicidio. Una situazione difficile -ha concluso Marroni - di cui non vedo lo sbocco”. |