''Non giustifico il suo gesto, pero' non lo condanno. Assolutamente''. Cosi' Marisa Grasso Raciti, vedova dell'ispettore di polizia Filippo Raciti, ucciso il 2 febbraio 2007 prima di Catania-Palermo, ha parlato di Luigi Spaccarotella, il poliziotto condannato per avere ucciso Gabriele Sandri. La vedova Raciti, intervenuta a ''24 Mattino'' su Radio 24, ha spiegato perche' ha voluto scrivere una lettera alla famiglia Sandri: ''Loro non mi hanno risposto - ha detto - ma ovviamente non saranno stati contenti delle mie parole. C'e' una frase nella lettera in cui dico che non giustifico ne' condanno il collega di mio marito. Penso che queste parole urtino molto la loro sensibilita'. Perche' le ho scritte? Perche' e' la verita'. Ogni poliziotto nella propria vita lavorativa si puo' trovare in situazioni di rischio. Io non so quel pomeriggio cosa e' successo e cosa ha spinto il collega di mio marito a sparare. Ovviamente non giustifico il gesto, ma durante il servizio ci si puo' ritrovare in casi in cui ci sono problemi a causa degli altri. Problemi che poi si devono risolvere o con un avvocato o altrimenti ci si puo' ritrovare alla fine del proprio servizio. Cioe', come dicono molti avvocati, a un degno funerale. Insomma non giustifico il gesto, pero' non lo condanno assolutamente''. ''Capisco il dolore provocato da questa morte assurda e che non si plachera' mai - ha aggiunto la vedova Raciti - ma quando al dolore si mescola rabbia e si esternano parole che vengono ascoltate da alcuni tifosi che in parte conosco per la reazione violenta, allora ho paura delle istigazioni, anche perche' tra poco inizia il campionato''. La vedova Raciti ha detto di conoscere l'odio nei confronti della divisa: ''Fin dal giorno della morte di Gabriele Sandri comparvero scritte offensive vicino casa nostra nei confronti di mio marito e della mia famiglia. I miei figli ebbero paura, non capivano il perche'. Sono atteggiamenti stupidi, pero' legati alla morte di mio marito danno fastidio e preoccupazione. Poi le provocazioni sono finite, ma non significa che non possano andare avanti. Mio marito quando prestava servizio allo stadio ogni volta tornava ferito. Alla fine non e' tornato piu'. Conosco gli ultras, alcuni soggetti si possono trasformare peggio di un cane che sbrana un bambino. Quando noi parliamo purtroppo le nostre parole vengono ascoltate, dipende da chi le ascolta e da come vuole reagire. Purtroppo dietro questo nome, tifosi, ci sono soggetti che si vantano di cacciare o minacciare il poliziotto o chi indossa la divisa. La cultura dell'odio verso la divisa c'e' sempre stata, non e' diminuita, anzi la avverto ogni giorno a casa. Mi spiace per queste parole ma sono costretta a dirle''. Infine un messaggio agli ultras: ''I messaggi io li ho lanciati da subito, dal giorno dei funerali di mio marito. L'unico messaggio che mando e' il rispetto della vita sotto ogni forma. La vita e' un dono, va vissuta nel rispetto degli altri, e nessuno puo' permettersi di limitare a un altro questo dono''.
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