L’immagine degli scontri sotto la Torre Eiffel durante la finale dei campionati europei è a dir poco emblematica. Emblematica nel senso che svela l’idiozia generalizzata che si cela dietro alla dittatura (a)social che governa, di fatto, le nuove forme possibili di socialità. Appena uscita, il solito carrozzone radical-indignato, quello che promuove boicottaggi online degli eventi sportivi, che s’intristisce perché c’è ancora chi segue il calcio invece di fare la rivoluzione, che ci inviterà a non guardare le Olimpiadi proponendo raduni vegan o tweet storm contro il capitalismo, questo carrozzone a cui internet ha dato purtroppo voce, ha avviato la valanga sociologica sul popolo bue davanti al maxischermo contrapposto al popolo in lotta dietro, che si scontrava con la polizia. Sembrava davvero l’immagine perfetta: il calcio come gigantesco oppio dei popoli, simboleggiato dal maxischermo che tratteneva metaforicamente la popolazione dal prendere coscienza dei suoi reali interessi. Eppure, incredibile!, nel giro di poche ore tutta questa narrazione velenosa crollava di fronte alla più prosaica realtà dei fatti: gli scontri sono scoppiati perché la piazza era piena e la polizia francese aveva chiuso le entrate, impedendo così di vedere la partita sul maxischermo al resto della popolazione giunta fin sotto la Torre Eiffel. Davvero uno smacco inaccettabile per quei rivoluzionari di professione che dalla tribuna social orientano le nostre vite distratte dai bagliori del Capitale. Eppure, anche in vista delle Olimpiadi, occorre davvero liberarsi da questa visione completamente fuorviante, che in nome di una presunta purezza ideologica invita a boicottare determinati eventi da internet. Il primo sillogismo artefatto è la contrapposizione tra “tifosi” e “militanti politici”. In altre parole: se non ci fosse il calcio (o qualsiasi altro evento di massa sportivo), organizzato dal Capitale per distogliere attenzione dai problemi concreti della vita, non ci sarebbero i tifosi, dunque ci sarebbero più militanti politici (o comunque gente più attenta ai problemi sociali invece di perdere tempo con sovrastrutture culturali alienanti). Questo ragionamento è completamente a-storico, a-dialettico e anti-sociale e descrive degnamente il processo involutivo di certa sinistra. E’ a-storico perché interpreta lo sport di massa e competitivo unicamente come prodotto funzionale al capitalismo, non cogliendo che lo sport esiste da quando esiste l’uomo come animale sociale. Lo sport è una delle manifestazioni di questo bisogno di cooperazione della specie umana. E’ una forma rituale necessaria, pertanto presente in ogni epoca e in ogni società. Dall’antica Grecia all’Unione sovietica, lo sport agonistico *non è* un’alienazione determinata dal capitalismo, ma semmai questi se ne appropria indebitamente, trasformando una propensione umana in fattore produttivo legato al profitto (ma questa è la dinamica tipica che definisce il capitalismo stesso). In secondo luogo, la natura anti-sociale del ragionamento per cui i tifosi sono cittadini alienati contrapposti all’emancipazione dei militanti politici non coglie che le due “categorie” – se così vogliamo chiamarle – non si escludono ma si sovrappongono. Solo chi non ha mai attraversato il marciapiede di casa o non è mai entrato in un quartiere popolare può contrapporre due cose che in realtà sono la stessa: il militante politico in genere è anche anche un tifoso, e viceversa un tifoso può essere anche un militante. Se non vediamo sfilare la rivoluzione sotto il balcone di casa non è perché “c’è il calcio”; se “la gente” non protesta, non scende in piazza, non si organizza, non è certo perché frenata dai fumi inibitori del pallone. Le due cose vanno di pari passo e, guarda caso, la scarsa mobilitazione sociale di questi anni porta anche alla lenta scomparsa del tifo organizzato dagli stadi. I fenomeni di partecipazione collettiva, sia politica che d’altro tipo, vanno di pari passo in una società, non sono settorializzati secondo i nostri gusti. Ma per capire questa cosa bisognerebbe per l’appunto partecipare effettivamente, non filosofeggiare dalla poltrona di casa. Tutto questo però non comporta, come conseguenza, che i grandi eventi sportivi non possano essere effettivamente contestati, anzi. Negli ultimi anni in particolare questi hanno preso la forma della “grande opera” volta a mascherare i fallimenti della politica. In questo senso, ma non “a prescindere”, andrebbero effettivamente contestati. Ma questo lo si dovrebbe fare nella realtà, non da facebook. Perché in quanto ad alienazione organizzata e gestita dal capitalismo, niente controlla di più i pensieri collettivi di quanto stanno facendo in questi anni i social network. Criticare fenomeni di partecipazione collettiva come il tifo calcistico da un qualche social network significa, come minimo, concentrarsi sulla pagliuzza altrui senza notare il pilone autostradale conficcato nella propria coscienza. |