«Censore e intimorito dai media», scrive il pm che non vuole aprire un fascicolo contro ignoti su ciò che accadde in caserma. «Giudice censore e intimorito dei media!»: il pm Abate si scaglia su chi ha bocciato il suo teorema. Succede a Varese, la città dove s'è consumato l'omicidio di Giuseppe Uva. Agostino Abate, che non ha mai interrogato l'unico testimone di quella notte del 2008, aveva impostato tutta la pubblica accusa come un processo per colpa medica. Orazio Muscato, il giudice, ha assolto quel medico scrivendo nelle motivazioni che le indagini dovevano partire da quella notte in caserma. Proprio come aveva sempre sostenuto la parte civile, Lucia, sorella di Pino e Fabio Anselmo, lo stesso legale dei casi Aldrovandi, Cucchi, Bianzino e Ferrulli. Storie che si assomigliano parecchio ma nessuna, finora, aveva registrato uno scambio d'accuse così forte tra tribunale e pubblica accusa. Il pm Abate vuole difendere il suo teorema contro il medico e, nel ricorso in corte di appello contro la sentenza di assoluzione, ha scritto che «La lettura complessiva della sentenza trasmette un ruolo del giudice/censore esorbitante e censurabile che da giudice del fatto e delle prove diventa il giudice del pm e dei suoi consulenti: assolve l'imputato e condanna questi ultimi». A dare fastidio al pm è probabilmente il fatto che la storia di Giuseppe Uva abbia sconfinato dalla lontana Varese facendo irruzione nei territori virtuali dei media. «Dalla sedia del giudice attraverso la finestra erano ben visibili gli striscioni», scrive Abate riferendosi alla manifestazioni che a ogni udienza venivano organizzate dai familiari e amici di Uva sul piazzale del tribunale. «A livello mediatico si è formata una verità - scrive ancora Abate - e cioè che Giuseppe Uva sia stato picchiato a morte, e che il processo ai veri responsabili non si è fatto perché la procura li protegge». Ma questa versione dei fatti secondo il pm è uno stravolgimento della verità emersa dalle indagini. Abate spiega che è stato proprio Fabio Anselmo a chiedere che non venissero esaminati durante il processo i poliziotti e carabinieri che quella notte tennero per tre ore in custodia Beppe Uva. Il giudice ha assecondato questa richiesta «tale decisione ha viziato all'origine tutto il processo». Ma forse, come per Anselmo, anche al giudice sarà sembrato strano sentire come testimoni contro il medico quelli che furono tra gli attori protagonisti di quella notte. Infine ad Abate non va giù che il giudice abbia chiamato come suo consulente il professor Thiene che nel processo Aldrovandi a Ferrara era il consulente di parte di Fabio Anselmo. Abate sostiene che sul corpo di Uva non ci fossero lesioni e accusa i consulenti di perizie contraddittorie. Il caso va avanti, dunque, ma non nella direzione indicata dalla sentenza mentre in calce all'appello di Lucia, pubblicato anche dall'Osservatorio, stanno aggiungendosi migliaia di firme. Lucia chiede solo che Abate apra al più presto il fascicolo n.5509/09 contro ignoti. Per sapere cosa accadde quella notte in caserma. |