Riccardo Cucchi finisce la sua lunga carriera da telecronista per Radio Uno, all’interno della trasmissione Tutto il calcio minuto per minuto. Inter – Empoli la sua ultima partita, dopo quasi 40 anni di attività radiofonica.
La notizia evoca una nostalgia che, mai come questa volta, potrebbe avere un significato giusto e profondo. Tuttavia, nel calderone dei media, soprattutto di internet con i suoi social, la parola nostalgia va a svilirsi e scrivere solo dei tempi che furono; è un’esercizio che in sé, ha solamente una ridondanza che finisce per erodere qualsiasi tentativo di costruire una valida riflessione.
L’era della telecronaca radiofonica, in particolare modo Tutto il calcio minuto per minuto, ha inciso un modo di raccontare il calcio a sé stante, tanto che pone una questione di base: è un’era che cade nel suo definitivo crepuscolo, oppure, può avere nuova linfa?
Due tipologie, radio e televisione, di affrontare la partita, il semplice evento, totalmente differenti: l’ascolto e la visione multitasking del calcio. Partiamo dalla seconda. Il calcio non si racchiude semplicemente nei 90 minuti, c’è una dilatazione del tempo: tra interviste pre, fine primo tempo e post, repliche e analisi tecniche che preparano o si susseguono alla partita. E appendici che si racchiudono nei vari episodi che si susseguono in campo: interventi a bordocampo, angolazioni a 360° che permettono di intercettare ogni particolare. Quando poi questi episodi sono screzi tra i protagonisti del campo, più o meno gravi, l’episodio diventa un caso per riflettersi attraverso i vari media.
In radio, nell’ambito delle trasmissioni calcistiche, la partita assurge ad unico e solo evento. Il programma principe non può che essere che Tutto il calcio minuto per minuto, che ha avuto la capacità di mantenere intatto il suo stile. L’unicità di una trasmissione che è riuscita a diventare l’antonomasia tra i programmi sportivi radiofonici: prima con Ciotti, Ameri e poi con coloro che fino ad oggi sono state le colonne portanti, Repice e lo stesso Cucchi che conclude la sua carriera. Mantenersi in auge in radio nonostante pay-tv e internet, ha un valore indiscutibile. La forza risiede in quella che possiamo definire come letteratura del minuto: riuscire a comunicare senza ripetizioni di parole ad effetto, il più delle volte urlate, come accade in tv. Un utilizzo lessicale capace di armonizzarsi tra i vari telecronisti, nonostante interruzioni da una parte all’altra dovute ad eventuali gol, decisioni arbitrali importanti oppure azioni pericolose.
Accendendo la radio e ascoltando la telecronaca, in mancanza di tecnologie alla portata, tra le innumerevoli app che ognuno ha nel proprio smartphone, che ci permettono di essere a conoscenza in tempo reale dei risultati dei vari campionati, sembra che il tempo si sia cristallizzato: anni ‘80, anni ‘90, fino alle domeniche odierne, cambiano gli interpreti ma non il clima che si respira al semplice ascolto. Tifosi in sottofondo dai vari stadi, le voci dei telecronisti che si susseguono, in questa semplicità si sprigiona un elemento che in noi è sopito: l’entusiasmo. La speranza che intervenga il telecronista dal campo in cui gioca la propria squadra del cuore, la gioia nell’ascoltare la propria tifoseria che si fa sentire anche fuori casa, l’euforia per il gol fatto, la tristezza per quello subito, le palpitazioni al fischio dell’arbitro prima di un rigore, l’interminabile attesa della fine o il tempo che sembra scivolare troppo in fretta.
L’entusiasmo porta con sé un’altra sensazione persa: l’immaginazione. L’attesa da sabato del villaggio leopardiano nel fantasticare un gol, l’esultanza dei tifosi che condividono la stessa fede, una coreografia non vista, tutto ciò che ci porta poi a guardare la sintesi del match.
In un’epoca calcistica in cui il tifoso ha delegato la propria partecipazione alle partite attraverso le pay-tv, che vede il calcio spalmato 24 ore al giorno, il ruolo dello stesso tifoso è passato da quello di possibile protagonista, che poteva interagire in prima persona, alla condizione di soggetto passivo di quello che è un vero e proprio show dai contorni sempre meno sportivi.
L’era dei telecronisti alla Ciotti è ovviamente di difficile replicabilità, eppure il calcio alla radio ha possibilità di sopravvivere perché punta su un elemento imprescindibile che ha legato tutti noi alla passione pallonara italiana: il fattore emozionale nella sua essenzialità primaria. Senza enfasi inutili o tentativi di eccitabilità indotta da gemiti e urla.
Come direbbe l’ottimo professionista Riccardo Cucchi: “è davvero tutto.” |