Ricorderemo nel corso dell’anno tutti i ragazzi scomparsi a causa degli abusi delle forze dell’ordine in Italia. Questo non vuole essere un necrologio o uno spazio meramente commemorativo e neanche un improduttivo “elenco” delle tante vite spezzate perché sottoposte a trattamenti “speciali” da questi signori in divisa. Ci auguriamo invece, che chiunque si soffermi a leggere queste storie lo faccia con la presa di coscienza che questo accade ogni giorno nelle strade, nelle celle, negli Opg e anche negli stadi del nostro paese, apparentemente culla della democrazia e della civiltà, ma in realtà, unico paese dell’Unione Europea a non essersi adeguato alle misure di prevenzione che riguardano l’abuso di potere quali, ad esempio, l’introduzione del reato di tortura ed i codici alfanumerici sulle divise ed i caschi dei reparti celere. Chi è chiamato a legiferare in tal senso non lo ha mai fatto e, del resto, come aspettarsi che la “mente” possa arrivare a punire il “braccio armato” che la difende, determinando l’assenza di una qualsiasi normativa e concedendo a questi signori in divisa un’immunità totale sui reati commessi: la maggior parte di essi infatti, anche se condannati, se la cavano con pene irrisorie, perfino quando questi abusi portano alla morte del malcapitato di turno, colpevole esclusivamente di aver incrociato una volante, una gazzella o un reparto celere. Per questo riteniamo che solo una vera presa di coscienza dal basso possa fare in modo che tutto questo non avvenga più.
FEDERICO ALDROVRANDI - 25/09/2005 Morire una notte, dopo una serata con gli amici, non per l’alta velocità, neanche per un eccesso di droga. Nessuno di quei motivi a cui siamo tristemente abituati, anche e soprattutto perché spesso troppo morbosamente enfatizzati dai tg nazionali. Questa volta no, nessuna strage del sabato sera o nessun caso di overdose. Questa volta, come è capitato sempre più frequentemente negli ultimi anni, a togliere la vita a un ragazzo ci hanno pensato dei “tutori” dell’ordine. Morire per mano dello stato, sotto quattro corpi robusti che ti schiacciano il torace e comprimono il tuo respiro, le tue urla, la tua vita. Se ne è andato così Federico, la notte del 25 settembre 2005 dopo essere stato massacrato durante un’azione che il giudice di cassazione ha definito “sproporzionatamente violenta e repressiva”. Una storia che ha dell’incredibile, che sembra uscita dal peggior film di violenza da strada. Una storia che molti ancora non conoscono. La storia di Federico, studente di Ferrara, che una notte di sette anni fa, mentre tornava a casa, fu raggiunto da quattro agenti di Polizia e picchiato fino allo sfinimento, fino alla morte. Federico morì con le mani ammanettate, il busto sfondato e il volto accecato dal terrore. Il terrore di vedersi accerchiato da uomini in divisa, di sentire i calci in faccia, i pugni sulla testa e i manganelli infrangersi sul suo esile corpo. E si, perché, come provarono le successive perizie, furono ben due i manganelli spaccati sul corpo di Federico. Dopo i tre gradi di giudizio, infatti, la cassazione ha reso definitive la condanne ai quattro poliziotti colpevoli di omicidio colposo, tutti condannati a tre anni e sei mesi ( una condanna ridicola a nostro parere ma, a quanto pare, non per la nostra giustizia).Tuttavia, il nostro paese riserva sempre delle sorprese ed ecco quindi che, non solo i quattro poliziotti rischiano di non fare neanche un giorno di carcere grazie all’indulto, ma per ora sono, incredibilmente, ancora tutti in servizio.
ALDO BIANZINO - 14/10/2007 (fonte: http://veritaperaldo.noblogs.org)Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta il 12 ottobre 2007 sono stati arrestati con l’accusa di possedere e coltivare alcune piante di marijuana. Trasferiti il giorno dopo al carcere di Capanne, sono separati. Roberta condotta in cella con altre donne, Aldo, in isolamento. Da quel momento Roberta non vedrà più il suo compagno lasciato in buone condizioni di salute. La mattina seguente, domenica 14 ottobre alle 8,15, la polizia penitenziaria entrata nella cella, trova Aldo agonizzante che poco dopo muore. Immediatamente la ex moglie, la compagna, i figli e gli amici si mobilitano per fare chiarezza su questa assurda morte chiedendo verità e giustizia perché di carcere non si può morire! Di fatto, dopo un goffo tentativo di insabbiamento da parte delle autorità carcerarie (le prime indiscrezioni sulle cause della sulla morte si riferivano ad un improbabile infarto), famiglia e amici vengono a sapere che dall’autopsia risulta che Aldo è stato vittima di un vero e proprio pestaggio: il corpo infatti presentava una frattura alle costole, gravi lesioni al fegato, alla milza e al cervello. Aldo Bianzino è morto ormai da cinque anni. Il silenzio su questa vicenda da parte delle istituzioni e dei rappresentanti della politica, dei cosiddetti garanti della nostra sicurezza sociale è assordante. |