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DAVIDE LIBERO











L’ICONA ZEMAN E LA NECESSITÀ DI IDOLI

 

FONTE:Sport People

 

Il Pescara, ormai sempre più impelagato negli abissi degli ultimi posti, esonera Oddo dopo le ultime larghe e indiscutibili sconfitte, per far ritornare sulla panchina il boemo più conosciuto nel mondo del calcio: Zdenek Zeman, già alla guida degli abruzzesi nel 2011-12.
Una delle figure più trasversali che abbia colpito e diviso il mondo dei calciofili, tanto da esserne consacrato a figura pop. Un’iconografia tanto forte che, nei suoi estremi, è capace di renderlo un feticcio di quella nostalgia di cui si è già discusso tante volte. Il concetto travalica spesso nel caricaturale perché non è quell’emozionalità che ancora al passato, bensì diviene strumento per scagliare il passato contro ciò che non va del presente.
Il Boemo torna a Pescara, dove segnò la sua meravigliosa cavalcata verso la Serie A tra prestazioni di calcio spettacolo, vittorie ampie e non solo: la scoperta di Verratti e l’esplosione di Insigne e Immobile. Lasciò la terra abruzzese per ritornare a Roma, sponda giallorossa, con un campionato al di sotto delle aspettative di partenza.
C’è un filo sottile tra il trionfo e il fallimento che è un segno tangibile. Quel 4-3-3 tra l’evanescenza difensiva e la prorompenza offensiva. Se volete un’equilibrio non lo troverete. Non c’è nel percorso zemanianano, non c’è tra chi lo ama per il suo calcio e per le sue battaglie fuori dal campo, come quella contro il doping. Dall’altra parte c’è chi lo critica per la mancanza di reali trofei vinti e per la sua rigidità legata ad uno schema che ha i tratti del dogma.
Mi sottrarrò tra la lotta tra zemaniani e anti, un aspetto è lampante: oggi più che mai c’è bisogno di idoli.
In un documentario come “Noi Ve lo diciamo” è interessante uno stralcio di intervista a Salvatore Genova, meglio conosciuto come Joe, storico capo ultras degli Ultras Granata del Torino, scomparso a fine agosto del 2013, che parla del fenomeno del ritorno dei dinosauri allo Stadio. Ossia, coloro che dopo delusioni nella loro vita ritornano allo stadio pensando che a 50 anni sia rimasto tutto com’era a 20 anni, illudendosi che nulla sia cambiato.
I dinosauri rischiamo di diventare noi, quando pensiamo che con certi ritorni si possano rimettere le lancette indietro e catapultarci a decenni fa.
Non ci sono più gli stadi pieni e gli stessi non costituiscono più la chiesa al centro del villaggio. Non c’è più la Serie A che accoglie i migliori calciatori da tutto il mondo, non c’è più il calcio che tutto il mondo ci invidia. Scendiamo dal piedistallo.
Questo bisogno di idoli vive due estremi: demenzialità social e feticismo nostalgico.
La prima vede l’esaltazione di calciatori che assumono l’appellativo di bomber non per la loro prolificità sul campo, quanto per la loro vita sociale ostentatamente sopra le righe, segnata da una spiccata ignoranza e da gesti goliardici ripresi e dati in pasto ai fan su Facebook. Quanta ilarità…
L’altro aspetto lo vediamo incarnato in Zeman e qualsiasi altro rappresentante di un certo calcio, visto come antidoto a quello odierno: si vive un insopportabile anacronismo per crogiolarsi nel passato e credere che questo possa continuare solo perché ancora sono in attività alcune figure calcistiche di riferimento.
Gli amarcord lasciamo che siano pensieri passeggeri, le icone in fondo cambiano anche l’immagine: Zeman ha smesso di fumare, per quel politically correct, imposto dall’alto, che da sempre difende la forma più che gli aspetti concreti. Un dubbio mi pervade: se questo volgere ostinatamente lo sguardo ad un tempo che non torna più fosse la dimostrazione che anche i tifosi siano venuti a mancare?
“A nessuna industria televisiva sembra che interessi dei tifosi, ma senza l’urlo e il movimento del pubblico il calcio sarebbe uno zero. Il calcio è una storia di passione. Sarà sempre così. Senza la passione il calcio è morto: solo 22 uomini che corrono su un prato e danno calci a una palla. Proprio una gran cagata. È la tifoseria che fa diventare il calcio una cosa importante. Quando cominciano perdi la testa. Se c’hai dentro un filo di passione, devi spararla fuori. È questo che può capitare con il football. Quello che capita a me.”
John King aveva predetto i tempi. Ora siamo diventati spettatori, clienti dell’industria televisiva, alla ricerca di idoli, per ricordarci di essere stati tifosi.

 

Gian Luca Sapere