A pochi giorni dal deposito della superperizia affidata dalla Corte d'assise per la morte di Stefano Cucchi, emergono nuove indiscrezioni. Gli esperti avrebbero evidenziato la presenza di sangue sui frammenti ossei prelevati da alcuni segmenti di vertebre che, a dire della famiglia, sarebbero state fratturate durante il pestaggio. L'elemento, che verrà discusso in aula il 19 dicembre, confermerebbe l'ipotesi di lesioni contestuali ai giorni dell'arresto e poi della morte. In contrasto con quanto avevano sostenuto i consulenti del pubblico ministero. Le nuove analisi: sarebbe stato pestato prima del ricovero C'è sangue nel tessuto osseo prelevato dalle vertebre di Stefano Cucchi. È il risultato, che appare abbastanza definitivo, renderebbe le fratture sui segmenti L3 ed L5 della colonna vertebrale molto prossime all'orario in cui il cuore del geometra romano ha smesso di battere. La perizia affidata dalla Corte di Assise a esperti super partes, è ormai in dirittura d'arrivo. La relazione conclusiva verrà depositata il 12 dicembre, in vista dell'udienza che si terrà il 19 dello stesso mese. Ma le anticipazioni dell'ultima riunione che si è svolta ieri a Milano, nonostante in città fosse festa per Sant'Ambrogio, porterebbero nella direzione dei periti della famiglia Cucchi: ovvero che il geometra è stato pestato prima di arrivare in ospedale, e non è morto per un semplice arresto cardiocircolatorio. Nell'incontro di ieri, alla presenza di buona parte dei consulenti e periti messi il campo dalla parte civile e dagli imputati, i tecnici investiti dalla Corte non hanno illustrato le loro conclusioni. Non avrebbero potuto farlo. Però, insieme con i colleghi hanno analizzato i vetrini con le fibre ossee prelevate dal cadavere. E proprio da quelle analisi sarebbero emerse con chiarezza le particelle di sangue. Alla riunione erano presenti anche il padre e la sorella di Stefano. E hanno notato quanto l'aria fosse tesa man mano che le conclusioni si facevano più evidenti. Le tracce di sangue rilevate sui frammenti ossei delle vertebre vogliono dire che si tratta di lesioni recenti e, dunque, contestuali al periodo dell'arresto e poi della morte. E non risalenti a quattro anni fa, come i consulenti del pm avevano dichiarato in aula. Anche perché - spiegano i legali di parte civile, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa - "se fossero di un periodo diverso avrebbero visto solo un callo osseo. Il fatto che c'è sangue significa che si è prodotto dal momento delle percosse fino a quello della morte". È escluso, dunque, per loro, che possa essere derivato da un trauma post mortem, perché in quel caso il sangue avrebbe smesso di circolare. Ilaria Cucchi era presente all'incontro, e con lei c'era pure uno dei suoi periti. "Ha voluto che si chiarisse bene questo particolare del sangue - spiega. Tanto che ha chiesto più volte: L5 non è una frattura da bara, vero professore? E la risposta è stata: è vero, non lo è. "Ora - aggiunge Ilaria: se si vuol dare la colpa soltanto ai medici per quanto è successo al Pertini, sostenendo che le botte non c'entrano, bisogna affermare che se Stefano si fosse ricoverato per sbaglio il 17 ottobre stendendosi da solo su quel letto, sarebbe morto comunque e nello stesso modo. Oppure occorre sostenere che un malato, in pessime condizioni di salute, può essere indifferente a traumi e fratture alla colonna vertebrale che gli vengano procurati prima della sua morte. Eravamo presenti io e mio padre e abbiamo avuto lo stesso pensiero: quanta fatica ci chiede lo Stato per dover dimostrare ciò che è ovvio per tutti". Nell'incontro è stato confermato anche quanto già esposto in aula durante il processo, e cioè che a livello del segmento S4, ovvero dell'osso sacro, c'è pure lì del sangue. Ma questo dato era stato accertato. I dubbi erano tutti sulle vertebre L3 ed L5, perché i consulenti del pm erano arrivati a conclusioni diverse, e cioè che si trattasse di fratture di epoca precedente alla morte. Ma l'analisi che avevano effettuato - è stato rilevato successivamente - aveva riguardato una parte di frammento osseo sbagliata, e comunque diversa da questa analizzata dai periti della Corte. Per conoscere le conclusioni definitive bisognerà aspettare mercoledì prossimo, giorno del deposito della relazione. La Corte ha chiesto di stabilire le cause della morte e se le fratture siano causali. Da quelle risposte dipenderà probabilmente l'esito del processo per medici, infermieri e agenti della polizia penitenziaria, finiti sul banco degli imputati. Stefano Cucchi era stato ricoverato nel reparto detenuti del Pertini per essere “tenuto lontano da occhi indiscreti”. Per nascondere il pestaggio dopo l’arresto. E chi l’ha condotto in un reparto adatto a pazienti stabili e non con patologie acute in corso, non poteva che esserne a conoscenza. Il sostituto procuratore presso la Corte di appello Eugenio Rubolino, con queste motivazioni e con un ricorso di 15 pagine, ha impugnato davanti alla Corte di cassazione la sentenza di assoluzione di Claudio Marchiandi, l’alto funzionario del Prap (Provveditorato regione dell’amministrazione penitenziaria), che ha sollecitato di persona il ricovero di Cucchi. Il pg, convinto della colpevolezza di Marchiandi, punta all’annullamento della sentenza per riportare l’imputato in aula davanti a un altro collegio. Perché il funzionario è l’unico dei tredici imputati del caso Cucchi a essere già stato processato. Mentre, nel gennaio 2011, gli altri dodici coimputati - 3 guardie penitenziarie, 6 medici e 3 infermieri, venivano rinviati a giudizio davanti alla terza Corte di assise -, Claudio Marchiandi veniva condannato in abbreviato a due anni di carcere per falso e abuso d’ufficio. Una sentenza che è stata ribaltata con l’assoluzione nell’aprile di quest’anno, ottenuta dal difensore, l’avvocato Oliviero De Carolis, e ora contestata dal pg Rubolino. “La Corte di appello nella sentenza impugnata - ha scritto il procuratore generale - dà per dovuto, in quanto necessario ai fini del ricovero di Cucchi, l’intervento di Marchiandi, tra l’altro recatosi personalmente il giorno festivo fuori servizio presso l’ospedale Pertini fino a quasi ravvisarne un comportamento lodevole”. “Proprio in questo passaggio la Corte incorre pertanto nell’errore di ritenere l’intervento come un comportamento privo di disvalore”, ossia negativo, finalizzato ad avere “un ricovero altrimenti non eseguibile”. Per Rubolino, insomma, l’autorizzazione per il ricovero non era necessaria. Per lui il funzionario del Prap era andato lì per tenere il detenuto “lontano da occhi e orecchie indiscrete”, essendo “consapevole che con quelle patologie era impossibile altrimenti ricoverare Cucchi in quel posto”. “La Corte - ha aggiunto poi Rubolino - sarebbe arrivata all’assoluzione anche sulla convinzione che l’imputato non avrebbe mai visto Cucchi e pertanto non poteva essere a conoscenza delle reali condizioni di salute”. Un altro errore dell’appello per la pubblica accusa. Quel giorno Marchiandi aveva sentito otto volte il direttore di Rebibbia, ben informato sullo stato di salute di Cucchi, e anche delle cause. |