Si è parlato molto in questi giorni della decisione della FIGC di introdurre nelle serie professionistiche inferiori le seconde squadre dei club della massima serie, così come accade per nazioni come Germania e Spagna e in maniera diversa anche in Inghilterra, dove invece si disputa un vero e proprio campionato riserve senza andare ad intaccare gli equilibri degli altri campionati agonistici. I dubbi sono subito stati molteplici, a partire da una serie di valutazioni che sorgono spontanee in chiave prioritaria, ad esempio sembra quasi “incostituzionale”, per usare un termine giuridico, prendere decisioni di tale rilevanza in una FIGC commissariata e ancora in attesa di capire chi la governerà. Certamente rimane il dubbio sulla serie C così come attualmente suddivisa, in ben tre gironi che ogni anno vedono cadere vittime sul campo decine di squadre fallite, da qualche tempo persino a campionato in corso, invalidando non di poco la regolarità dei campionati stessi. Altro problema meramente di carattere proporzionalistico, è l’organizzazione della Serie D che, su 180 squadre circa, stacca pass per i professionisti a soli 9 club, creando così una sorta di auto-difesa corporativista ai club professionistici anche laddove questi non siano più in grado di reggere la categoria. Certo, così facendo ne posticipano la morte ma non di meno ne amplificano lo strazio, senza ovviamente e minimamente incentivare la competitività. La cosa che fa però insorgere maggiormente i “conservatori” del buon vecchio calcio, è lo sradicamento di questo sport dal proprio territorio: immaginatevi un attimo un Fiorentina B – Pisa, derby storico di Toscana che ha una tradizione millenaria se si parla di rivalità tra le due città. Cosa può valere una partita del genere? Che sapore avrebbe per un pisano andare magari ad espugnare il mitico centro sportivo dove gioca la squadra B al cospetto dei genitori dei calciatori? Questo ovviamente ammesso e non concesso che certe partite, di certe squadre che per causa maggiore non possano disporre del campo principale, vengano consentite al pubblico della squadra ospite. Molti adducono che cambierebbe poco, vista la torma di ragazzini delle squadre di A mandati in prestito ad imbottire gli organici in B e C. Molte compagini sopravvivono così allo spettro del fallimento e nell’infinita lista di piazze in attesa di una degna proprietà, ce n’è anche qualcuna già de facto usata come squadra B (cfr. Lazio/Salernitana); squadre che magari non potranno ambire mai alla serie A (anche perché due squadre con lo stesso presidente, da regolamento, non possono partecipare allo stesso campionato) ma onorano e danno lustro alla loro categoria molto più di come potrebbero fare, per esempio, le seconde squadre di club che, prima di recenti exploit, per una vita hanno vivacchiato nei campionati dilettantistici. Risulterebbe ambiguo se non grottesco vedere certe seconde squadre in Serie C quando nemmeno la prima ha mai avuto tradizione in quelle serie e tuttora non riesce a mettere assieme un pubblico decente nemmeno in Serie A. Questa novità potrà far piacere ai presidenti monopolisti in attesa di legittimare un dominio finora subdolo e già in atto. Oppure ai tifosi da divano che vedrebbero la loro squadra due volte a settimana, ma per chi il calcio lo ama davvero in maniera viscerale, gradone dopo gradone girando per l’Italia è solo l’ennesimo sopruso alla tradizione, un colpo mortale a tutta la ricchezza e la passione che il calcio di provincia ha dato a questo sport. |