La vicenda di Stefano Cucchi è stata ridimensionata a uno dei tanti casi di mala-sanità. Stefano Cucchi sarebbe morto perché dopo essere probabilmente scivolato, come spesso capita alle persone arrestate o carcerate, sarebbe stato malnutrito dai medici. Dopo tre anni è arrivata la superperizia che di super ha ben poco. In modo ineffabile essa afferma che: «Il quadro traumatico osservato si accorda sia con un'aggressione, sia con una caduta accidentale, nè vi sono elementi che facciano propendere per l'una piuttosto che per l'altra dinamica lesiva». Se non fosse tutto terribilmente tragico risulterebbe degno di una commedia o ancora peggio di una farsa. Ci sono voluti tre anni perché i superperiti giungessero a sentenziare il nulla di fatto. D'altronde siamo abituati a riesumazioni macabre di corpi che avvengono a vent'anni dagli eventi senza che ci si approssimi di un millimetro alla verità. Non sappiamo quale sarà la verità processuale nel caso di Stefano Cucchi. I giudici a questo punto potrebbero cavarsela condannando i soli medici e infermieri, usualmente meno protetti dalle loro corporazioni rispetto al personale delle forze dell'ordine nelle quali regna l'inossidabile spirito di corpo. La superperizia non è però decisiva nella valutazione dei giudici. Questi potrebbero onorare la loro toga e la giustizia andando, nonostante la superperizia, alla ricerca della verità storica. I periti d'altronde non hanno escluso che Stefano Cucchi possa avere subito un pestaggio violento. Quanto meno si riconosce che fratture ed ecchimosi sono contestuali al momento dell'arresto. Sta ora ai giudici provare, verificare cosa è accaduto prima del ricovero all'ospedale Pertini. Ciò che si desume dalla superperizia è che i poliziotti incriminati non dovranno rispondere di omicidio doloso. Potrebbero però sempre rispondere di omicidio preterintenzionale, di tentato omicidio o di lesioni personali gravissime. La superperizia non impedisce ai giudici di sentenziare più o meno quanto segue: c'è chi deve essere punito perché ha torturato e chi deve esserlo perché non ha adeguatamente curato. Si tratta di fatti diversi tra loro, non necessariamente eziologicamente collegati. Un caso di scuola per chi studia giurisprudenza è il seguente: tizio spara e ferisce caio. Caio viene raccolto da una autoambulanza e portato in ospedale dove muore dissanguato qualche ora dopo in quanto i medici lo hanno dimenticato in corsia. La dottrina penalistica ci dice che chi ha sparato non risponderà di omicidio tout court ma sicuramente risponderà di tentato omicidio o di lesioni personali. A parte saranno valutate le colpe gravi dei medici. La morte terribile di Stefano Cucchi, documentata da quelle foto che tutti abbiamo potuto vedere in rete grazie al coraggio di una famiglia eccezionale, riguarda lo stato della democrazia, della giustizia e dei diritti umani in Italia. È trascorsa un'altra legislatura e ancora la tortura non è un crimine per la legge penale italiana nonostante vi siano precisi obblighi internazionali ed europei in questo senso. Il governo tecnico ci ha messo del suo per evitare la codificazione del crimine facendo melina e proponendo modifiche peggiorative alla definizione del reato presente nella Convenzione delle Nazioni Unite del lontano 1984. Erano modifiche evidentemente funzionali ad assicurare l'impunità dei torturatori. Chi sostiene la tesi che Stefano Cucchi sia scivolato in carcere, oppure in caserma o in tribunale gioca con l'intelligenza delle persone e si rende complice di tesi precostituite di impunità. |