Esattamente un anno fa veniva in sostanza decretata la fine della famigerata tessera del tifoso, così che -quasi- tutte le tifoserie hanno potuto ritornare in trasferta e hanno avuto la possibilità di sottoscrivere un vero e proprio abbonamento. Non solo: sono stati “liberalizzati” anche gli strumenti del tifo. Risultato: più tifosi in trasferta, stadi in generale più pieni, ambienti più coinvolgenti, passionali e partecipi. Per la prima volta dopo tanti anni il trend negativo della media spettatori è stato finalmente invertito, interrompendo una lunga agonia che durava almeno da un decennio, ridando una speranza concreta anche a noi, che il calcio lo amiamo in maniera viscerale e abbiamo sempre cercato di difenderlo da banditi e avvoltoi. Grazie anche al nostro contributo, sembrava finalmente che tutti avessero preso coscienza dei reali problemi che attanagliano da molto tempo il calcio italiano, perfino i nostri “governanti”, tanto che la scorsa estate si era fatto un significativo passo indietro rispetto alla strada autodistruttiva che qualcuno (non certo noi) aveva intrapreso negli ultimi decenni. Si ricominciava così a ragionare ritornando a una logica che almeno fino agli anni novanta aveva sempre pagato, e grazie alla quale questo sport era diventato sempre più grande, spettacolare e partecipato. Il calcio è sempre stato del popolo, e al popolo alla fine sembrava che volessero riconsegnarlo, almeno così ci era sembrato. Purtroppo, tutti oggi stanno scoprendo che la verità è un’altra. È di questi giorni infatti la ratifica di un nuovo documento (imposto dall’Osservatorio per le Manifestazioni Sportive alla FIGC e alla Lega) che obbliga le società ad applicare un codice di gradimento, un codice etico, un codice comportamentale molto invasivo che nell’intenzione di molti presidenti diventerà una sorta di DASPO societario. Una nuova spada di Damocle sulla testa di tutti i tifosi di calcio, imposta fra l’altro sottobanco e in un periodo (quello estivo) durante il quale molti cittadini sono distratti o addirittura assenti. Uno strumento che non prevede fra l’altro ricorsi, se non in forma ufficiosa alla stessa società di origine, quindi -come si può ben capire- senza alcuna garanzia. Un sistema di norme di natura privatistica con il quale ciascuna società (con ampio margine di discrezionalità) decide le proprie regole alle quali subordinare tutti i propri tifosi, che di fatto, in caso di comportamenti ritenuti non conformi al suddetto codice, possono vedersi ritirato (anche per sempre!) il proprio biglietto o l’abbonamento. E questo avviene oltretutto in un Paese in cui gli stadi di proprietà sono l’eccezione, non certo la regola (ad ogni modo il codice è una vera e propria porcata). Per far capire la malafede di questo nuovo strumento machiavellico/repressivo, abbiamo raccolto un campionario di norme tratto dai codici di varie società, che per praticità riportiamo nelle note del presente documento.* Naturalmente, sono solo alcuni degli esempi più grotteschi che siamo riusciti a recuperare, e ogni città, ogni tifoseria con molta probabilità potrebbe aggiungerne altri, anche peggiori. In ogni caso, come si può ben capire, sono tutti punti/concetti strumentalizzabili, interpretabili e adattabili a diverse situazioni di comodo che porteranno vantaggi in particolare ai presidenti più disonesti. Per questo alcune cose devono essere chiare a tutti:
1) nella maggior parte dei casi, per accettare il codice non è necessaria alcuna firma; il semplice gesto di acquistare un biglietto/abbonamento comprende in maniera implicita e consapevole l’accettazione e la condivisione dello stesso (alcune società il codice non lo pubblicano nemmeno per evitare possibili critiche e malumori; ciò non significa che non esista o non sia applicabile, al contrario, ndr);
2) esiste già un regolamento d’uso dello stadio, che in caso di violazioni prevede sanzioni da parte della Pubblica Autorità;
3) il codice può far scattare una sanzione anche -e soprattutto- nel caso in cui l’eventuale violazione non abbia alcuna rilevanza penale;
4) questo codice non è stato studiato per combattere o prevenire la violenza; per fare ciò sono già stati sperimentati diversi strumenti/provvedimenti liberticidi e al limite della costituzionalità, spesso e volentieri applicati in maniera arbitraria e discrezionale. Inoltre, a detta di tutti, i reati da stadio negli ultimi anni sono diminuiti sensibilmente, soprattutto all’interno degli impianti sportivi.
Perciò non c’era la necessità di un nuovo strumento repressivo. Vista però la crisi del calcio italiano, dovuta in particolar modo a una gestione a dir poco libertina, e a delle scelte controproducenti e impopolari, che hanno di fatto svuotato gli stadi e relegato la nazionale e le squadre italiane impegnate nelle competizioni europee a delle vere e proprie “comparse”, i “nostri” dirigenti hanno pensato bene di ratificare un nuovo strumento che potesse servire:
- per stroncare sul nascere ogni eventuale protesta portata all’interno degli stadi;
- per mettere a tacere ogni eventuale critica indesiderata espressa in generale, perfino sui social media;
- per plasmare, ammansire e ricattare il tifoso, sia esso appartenente a un gruppo organizzato, sia esso un tifoso “moderato”.
Sì alla “Standing Zone” Un capitolo a parte lo dovremmo aprire poi sulle famigerate “Standing Zone”, le zone degli stadi in cui i tifosi per scelta possono tifare rimanendo in piedi. Perfino in Inghilterra stanno ritornando di moda, e in Germania sono ormai un punto fermo sia per i tifosi più calorosi, sia per le società, che hanno capito tutti i benefici derivanti da scelte lungimiranti e popolari (risultato: stadi comunque sicuri, coreografici, calorosi, e soprattutto pieni al novanta per cento). L’ormai leggendario muro giallo del Borussia Dortmund, cui tutti fanno riferimento quando c’è la necessità di dare un volto al tifo più tradizionale e caloroso, di certo non potrebbe esistere con le oppressive regole vigenti in Italia. Nel nostro Paese, infatti, come sempre si cerca di fare il percorso inverso, addirittura introducendo seggiolini inadatti per fare un tifo -appunto- all’italiana, e in alcuni casi anche pericolosi per il solo transito delle persone. Tutto questo nell’ennesimo tentativo -di natura masochistica- di mettere tutti a sedere. Così, mentre nel resto dell’Europa la maggior parte dei Club (salvo rarissime eccezioni in cui i tifosi sono un semplice contorno) si prodiga nel tentativo di creare all’interno del proprio stadio un’atmosfera partecipata e magica, che possa magari migliorare le prestazioni dei propri giocatori, oppure coinvolgere un pubblico sempre maggiore, sia esso tradizionale, occasionale o televisivo, nel nostro Paese facciamo di tutto per trasformare i tanti templi del tifo presenti nelle nostre città in teatri asettici e silenziosi, con evidenti danni economici, sociali, e, per ultimi (ma non certo meno gravi, vista la dipendenza dei nostri club dai proventi delle Pay TV), anche televisivi. Per concludere, dopo l’esperienza della tessera del tifoso, che oltre ad aver danneggiato tantissimi tifosi ha svuotato ulteriormente gli stadi italiani, crediamo che il codice etico possa diventare un clamoroso boomerang per le società e -di conseguenza- per il calcio italiano. Per questo ci auguriamo non debbano passare altri sette, otto anni prima che i “nostri” dirigenti, i “nostri” politici, i nostri concittadini (che nella vita di tutti i giorni subiscono sempre più spesso tutti quei provvedimenti testati in maniera quantomeno discutibile sugli Ultras), capiscano la potenzialità negativa e devastante dell’ennesimo provvedimento costruito ad hoc contro chi il calcio lo ama davvero: i tifosi da stadio. Si parla tanto di doveri dei tifosi, ma quando si comincerà a discutere e -soprattutto- a spiegare tutti i reati e le responsabilità addebitabili alle società di calcio, non ultima quella della tessera del tifoso? Del resto il gioco più bello del mondo non l’hanno affossato gli Ultras. Al contrario: quando sono stati ascoltati hanno saputo persino migliorarlo. Per questo ci piacerebbe sentire anche le opinioni (naturalmente obiettive e prive di ogni fuorviante pregiudizio): dei giornalisti sportivi che conoscono molto bene la cultura del calcio italiano; di quei politici che ancora credono nelle potenzialità aggregative e sociali dello sport (almeno a parole); di quei presidenti che non hanno ancora intrapreso percorsi decisi interamente da logiche di business e sfruttamento radicale della nostra passione. Infine, ci piacerebbe capire le vere intenzioni di una federazione e di una Lega che stanno facendo di tutto per uccidere definitivamente lo sport più amato dagli italiani. |