Il 10 gennaio 1993, esattamente 20 anni fa, moriva a Bergamo Celestino Colombi, colpito da infarto in seguito ad una carica della celere dopo Atalanta-Roma. Fu uno dei primissimi casi di “repressione mediatica” legata al mondo ultras, visto che la sua morte venne praticamente ignorata dai mass-media. Solo gli ultras, per la prima volta uniti al di la di ogni rivalità, ne portarono a galla la vicenda, che a 20 anni di distanza vogliamo ricordare in questo spazio con le parole di chi l’ha vissuta in prima persona: Il 10 gennaio 1993 è purtroppo diventata una data tristemente famosa. Quel giorno infatti dopo la partita Atalanta – Roma perse la vita Celestino Colombi, 41 anni. La partita è finita, i tifosi romanisti sono già stati riportati in stazione, dove stanno per prendere il treno per tornare nella Capitale. Tutto liscio. Quando improvvisamente, e senza alcun motivo, la celere di Padova (di servizio quel giorno a Bergamo) decide di caricare gli ultrà bergamaschi rei di trovarsi al loro solito bar a bere qualche birra. Durante queste cariche, 3 poliziotti si trovano davanti Cestino Colombi, che passava di li assolutamente per caso (era appena uscito da una seduta con lo psicologo). Minacciano con i manganelli il malcapitato, il quale preso dal panico si accascia a terra e muore per arresto cardiaco. Quello che ne seguirà saranno ricostruzioni fantasiose da parte della polizia, in cui la colpa sarà solo ed esclusivamente degli ultrà, come siamo sempre abituati a sentire in questi casi… Celestino, va ricordato, non frequentava lo stadio. Aveva un passato da tossicodipendente. La questura si limitò ad uno scarno comunicato in cui si sottolineava la sua condizione di tossico, quasi a voler dire “tanto sarebbe morto lo stesso”. I giornali sportivi e non liquidarono la notizia con poche righe, parlando genericamente di “scontri fra tifosi” (cosa impossibile visto che i romanisti avevano già abbandonato la zona dello stadio), e di “cariche di alleggerimento” da parte della celere (le chiamano così per dargli un nome mediaticamente meno pesante…). Qualcosa di assolutamente vergognoso ed inaccettabile. Gli ultras decisero di non stare al loro gioco. Per la prima volta un gran numero di tifoserie di serie A (e qualcuna anche di serie minori) misero da parte le rivalità (che nei primi anni ’90 erano ancora molto forti e quasi “invalicabili”) per portare avanti un’iniziativa comune di solidarietà. E così all’unisono in molte curve (Bergamo in primis, ma anche Roma, Lazio, Milan, Fiorentina, Genoa, Sampdoria, ecc) per una domenica sparirono i consueti striscioni per far spazio ad un unico telo raffigurante la frase: “10-01-1993: LA MORTE E’ UGUALE PER TUTTI!”. Fu un numero ridotto di tifoserie a partecipare all’iniziativa, ma quasi tutte profondamente rivali fra di loro. Fu una cosa nuova, diversa, a cui non eravamo abituati. Fu in quel momento preciso che nacque il concetto di solidarietà fra ultras, che molto spesso viene chiamato in maniera un tantino approssimativa “mentalità”. Stiamo parlando dei primi anni ’90, quando la repressione odierna era considerata possibile solo nei film di fantascienza, e quando in molte curve quando la celere caricava nel settore ospiti partiva ancora il coro “Uc-ci-de-te-li! Uc-ci-de-te-li!”. Si stava prendendo coscienza di certe cose, ma il cammino era ancora lungo. Da quel 1993 sono passati ormai 20 lunghi anni. Celestino Colombi non ha mai avuto giustizia. Ma noi non lo vogliamo dimenticare. |