Fabio Di Maio era un ultras trevigiano, che morì per arresto cardiaco (secondo la versione ufficiale) il 1° febbraio 1998, al termine di Treviso-Cagliari. La dinamica degli eventi di quel giorno di febbraio in realtà non è mai stata completamente chiara, ed in parte anche distorta dai media e dalle forze dell’ordine. Vale la pena ricostruirla. Al termine del match i trevigiani si avvicinano al settore ospiti con l’intenzione di restituire ai sardi l’accoglienza poco amichevole dell’andata. Ne nasce un piccolo scontro fra le prime linee dei due gruppi, prontamente sedato dalla polizia. Da dietro però arrivano i carabinieri, con i calci del fucile spianati, che chiudono i trevigiani in una sorta di “sandwich” fra loro e il cordone di polizia. Diversi risultano feriti, e molti calci dei fucili risultarono poi spezzati, segno che avevano caricato a fondo. Fabio Di Maio si trovava appunto dietro il gruppo dei trevigiani, non si è mai capito bene se abbia o meno partecipato ai tafferugli, se sia stato o meno colpito dai carabinieri. Fatto sta che si accascia al suolo, colpito da arresto cardiaco. L’ambulanza non c’è, o meglio l’unica ambulanza presente al campo è stata precedentemente utilizzata per portare all’ospedale il portiere del Treviso Mondini, ed impiegherà più di venti minuti per soccorrere il povero Fabio. Che se ne va così, a 32 anni. Subito è una corsa a scagionare l’azione dei carabinieri: la prima cosa che si dice di Fabio è che era cardiopatico, e poi che rientrava proprio quel giorno da una diffida per rissa. In realtà la diffida l’aveva presa per un diverbio con un carabiniere, e i suoi problemi al cuore non erano tali da impedirgi di vivere una vita normale, dal momento che faceva l’istruttore di nuoto. Ma i media hanno già ricostruito la versione che risulterà essere ufficiale: un ragazzo cardiopatico, rissoso, che se l’è cercata; se non fosse stato li non gli sarebbe successo niente; i carabinieri hanno agito nel giusto. Ma non si troverà mai nessuna spiegazione per i calci dei fucili rotti, così come per i filmati di quegli incidenti “stranamente” cancellati, o per la rimozione altrettanto “strana” del Commissario Capo della Digos di Treviso. Nei giorni immediatamente successivi al fatto arrivano 28 diffide sulla tifoseria trevigiana. Un chiaro tentativo di intimidire, di mettere tutti a tacere. Gli Ultras a Treviso, che in quel periodo erano in forte crescita, vengono praticamente stroncati e da quell’episodio cominceranno a subire valanghe di diffide spesso gratuite. Ma la polizia a Treviso si fa particolarmente cattiva e pesante, anche nei confronti degli ospiti: ce ne accorgeremo anche noi, quattro anni dopo, in una serata di follia condita prima da provocazioni verbali, minacce, insulti e poi da cariche dentro lo stadio che porteranno a due fermi (per inciso, l’unico dei due ragazzi che arriverà al dibattimento non solo si vedrà assolvere, ma anche risarcire di 2.000 euro!). Un episodio spesso trattato “in secondo piano”, ma che nel suo piccolo ha cambiato il corso della storia a Treviso. Gli ultras trevigiani, poco inclini a campagne mediatiche e giornalistiche, intitolarono la loro curva a Fabio, e nel 2011 in occasione del tredicesimo anniversario della sua scomparsa, gli hanno dedicato anche una targa. Più di tutti ha cambiato la vita dei genitori di Fabio: Carlo Rosario e Bianca erano una famiglia normale, con un’attività, come tante qui nel Veneto. A seguito della morte del figlio tentarono una causa civile contro il Treviso FBC, ma persero il processo e si ritrovarono a pagare tutti i danni. Furono costretti a vendere l’edicola che gestivano presso la stazione dei treni di Treviso per pagare i debiti, e finirono in rovina. A Fabio, nell’anniversario della sua morte, va il nostro pensiero. Come a tutte le vittime di questo stato che hanno avuto la sola sfortuna di essere tifosi, pertanto agli occhi di molti “cittadini di serie B”. |