Il telecronista Victor Hugo Morales, allo Stadio Azteca quel 22 Giugno 1986, sembra di sentirlo ancora urlare e piangere dall’emozione: perché alla bellezza non si può rimanere indifferenti.
Il ragazzo di Villa Fiorito, in Lanus, ha segnato due gol per la sua Argentina ai danni dell’Inghilterra: uno per la Patria e l’altro per scrivere la Storia del Calcio.
La mano che irride la Regina è un unguento per le ferite provocate dalla guerra delle Falkland/Malvinas; l’altra è una serpentina di 15 tocchi, veloci, inarrestabili, decisi, indimenticabili. Il piede del numero 10 è più veloce delle parole sciorinate dalla telecronaca del buon Victor Hugo Morales, costrette a rincorrerlo con quel “ta ta ta”. Disegnare e concludere la parabola perfetta in un Mondiale, contro gli inventori del Calcio, è la prova incontrovertibile di essere: l’essenza del Calcio stessa. Perché non si parla di calcio solamente. Il numero 10 più famoso al mondo è stato un simbolo di rivalsa e riscatto, di ribellione, di scherno verso il potere: un allegorico sguardo dove i ragazzi dei barrios argentini e le periferie nostrane si sono potuti rivedere. Rimanendo oggi, fuori dal borghese giudizio di chi partecipa al verdetto che gli si scaglia addosso post-mortem.
Dal popolo per il suo popolo.
E al suo popolo si è dato in tutto e per tutto: Dal Boca al Napoli, con i primi rinunciando al contratto del River Plate pur di giocare con i Xeneizes; con gli azzurri, passando per una emblematica partita di beneficenza nel fango di Acerra senza il clamore mediatico odierno, portando poi in grembo, all’ombra del Vesuvio, quei trofei fino a poco prima inimmaginabili. Osmosi con i tifosi, prendendosi il palcoscenico sul rettangolo verde.
Diego Armando Maradona e il pallone: incipit di una letteratura creata ad hoc, tratteggiando le sue abilità così impressionanti da provocare lo stupore e l’euforia per chiunque le abbia vissute. Il goal da metà campo contro il Verona, la punizione contro la Juventus di Platini ai limiti della fisica. Tra le istantanee di un collage di genio assoluto calcistico. Un sunto di atto beniano.
L’Argentina è la patria del Tango, passionale, malinconico, intimo, sensuale: un empatico connubio tra i due partner, in un continuo equilibrio in cui sapersi concedere l’un l’altra. Il tango, la simbiosi tatuata dal destino tra il pallone e Maradona.
È un continuo danzare tra di loro: di stadio in stadio, su ogni tipo di terreno, contro qualsiasi difesa. Attaccato, scalciato, colpito eppure Maradona non cede, non cade, continua imperterrito a muoversi insieme a quel pallone; la danza non viene interrotta. Mai.
“Gracias Dios: por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 – Inglaterra 0.”
Victor Hugo Morales finì così quella sua storica telecronaca del “gol del secolo”, nei quarti di finale di quel lontano 22 Giugno del 1986, allo Stadio Azteca. Il Mondiale che fin da piccolo fu il suo obiettivo: lo raggiunse e lo vinse. Ora a piangere per Maradona non è più solo Morales: c’è chi ha vissuto la sua epopea negli anni ’80, passando per chi ne ha vissuto il mito grazie alla testimonianza di chi c’era; da chi oggi culla quel sogno utopico, sui campetti più anonimi e disparati, di avvicinarsi a quelle sue gesta. Mito irraggiungibile e fragile; umano.
El pueblo di Diego Armando Maradona. |