Stadio Sarria, Barcellona, Mondiali del 1982.
l’Italia si gioca la qualificazione contro il Brasile per accedere alle semifinali: alla Seleção basta un punto, l’Italia necessita invece di una vittoria. I verde-oro hanno una squadra di talenti cristallini: Socrates, Falcao, Zico, Junior e Cerezo. l’Italia di contro non lesina di campioni: Antognoni, Conti, Graziani; una difesa granitica e autorevole: Scirea, Gentile (solo di nome) e Cabrini sulla fascia. In attacco poi c’è quella numero 20 assegnata ad un ragazzo di Prato: corporatura che non richiama certo alla mente quei centravanti dai fisici statuari come John Charles.
I brasiliani ad inizio gara non possono rimanerne impressionati; eppure sarebbe bastato chiedere ad un vicentino quale dote avesse quel tóso. Quella dote che si annida tra le pieghe del tempo: senza, non ci sarebbe stato Davide contro Golia. Soprattutto quell’esito che consegnasse tal duello alla leggenda. Quando la prontezza di idee e di azione ne fanno da protagonista.
Ci sono gol belli per il gesto acrobatico, altri per l’azione corale, infine quelli realizzati eludendo la difesa grazie alle capacità di un attaccante d’area.
Al 5′ minuto in un walzer di finte Conti supera Cerezo ed Eder cedendo la sfera a Cabrini che la cesella in mezzo all’area, Paolo Rossi è lì pronto. 1-0.
È il 25′ quando Leandro la passa a Cerezo che a sua volta effettua un sanguinoso retropassaggio alla difesa, Paolo Rossi è sempre lì sulla traiettoria: guadagna il pallone dirigendosi in area e realizza. Italia in vantaggio di nuovo. 2-1.
Al 74′ Conti da calcio d’angolo crossa in area, Socrates di testa cerca di allontanare il pallone, Tardelli la rimette in aerea: Graziani svirgola, Rossi no. 3-2.
La marcatura serrata di Gentile su Zico, la parata di Zoff nel finale di gara sulla linea, quella partita porta con sé tanti episodi divenuti imprescindibili per raccontare quel Mondiale, tuttavia, la scena la prende sempre quel ragazzo di Prato con la numero 20. Una tripletta che racchiude le sue qualità: astuzia, intelligenza, visione e la capacità di colpire al momento giusto.
Una partita a scacchi in cui sapere quale sia la mossa giusta da scegliere, cercando di leggere il gioco dell’avversario. In anticipo. Paolo Rossi racchiudeva tutte queste sue attitudini in campo.
L’uomo dei Mondiali lo diventò per una Nazione intera, quella italiana.
Il protagonista di una sorta di nuovo “Maracanazo” per il Brasile.
Riuscire a diventare icona con il passare degli anni è una qualità di pochi.
Nessun esibizionismo, nessun egocentrismo a tratti delirante, nessun narcisismo spasmodico; essere semplicemente Paolo Rossi.
Quel ragazzo che fu capace di portare grazie ai suoi gol, il Vicenza al secondo posto nel 1977/78; vincere tutto e di più con la Juventus. Sempre alimentando lo splendore della semplicità. Persino nell’esultanza: naturale conseguenza di un’emozione spontanea non posa plastica già pre ideata, asettica come molto spesso accade oggi. Al di là delle singole squadre che l’hanno visto all’opera e dei suoi tifosi, rimarrà il Pablito del Mondiale dell’82: capocannoniere di quel torneo vinto tra le Nazionali più forti, uno dei 5 Palloni d’oro italiani di sempre.
Il protagonista del racconto più romantico di una generazione che toccò in quell’estate di inizi anni ’80, un’esplosione di gioia che come un brivido unì lo Stivale intero. Eterno ragazzo simbolo di una letteratura sportiva che non sarà destinata a tramontare: perché quel Calcio ha raffigurato la cronaca di un Paese e degli uomini che lo hanno vissuto e ne hanno dato lustro. Proprio come quel ragazzo di Prato. |