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DA SIENA A UERDINGEN: «I TIFOSI NON SONO GIOCATTOLI»

 

FONTE:Sport People

 

La holding armena “Noah Football Group”, già proprietaria del Siena e del Noah Yerevan in Armenia, sta per estendere il suo controllo anche sui tedeschi dell’Uerdingen, compagine reduce da una evidente crisi societaria.

L’intento evidente è quello di imbastire un network entro cui muovere più agilmente i propri investimenti, calcando le stesse orme del “City Football Group” per esempio, che controlla Manchester City, New York City, Melbourbe City e Mumbai City. O della “Red Bull”, proprietaria dei club di Salisburgo, Lipsia, New York, Liefering e Bragantino, tutti ridenominati con il prefisso aziendale in spregio ad ogni discorso identitario o di tradizione, da sempre caro ai tifosi. In tal senso, piccola parentesi, tracciò a suo modo un solco la battaglia dei tifosi dell’Austria Salisburgo, che abbandonarono il vecchio club “storpiato” per rifondarne uno nuovo, ripartendo dai dilettanti pur di preservare il nome storico.

Non è mera opposizione pregiudiziale, la criticità verte tutta attorno al precedente della compagine delle bevande energetiche: il primogenito Noah Yerevan infatti, alla stessa maniera è nato a scapito dell’Artsakh Yerevan a cui ha cancellato nome e passato; anche il Siena ha subito incredibilmente la stessa onta, seppur in maniera per certi versi più soft, visto che il nome integrale della fu Robur, è ora ACN Siena e quella “N” allude chiaramente alla “Noah Football Group”. “Incredibilmente” perché tutto ciò è avvenuto nel silenzio assordante dei media: a parte la stampa e la tifoseria locale, la vicenda non ha sollevato poi troppe perplessità o obiezioni. Come non le sollevò a suo tempo l’Unicusano in quel di Fondi prima e a Terni poi, altri casi in cui la proprietà usò la squadra di calcio come una sorta di cartellone pubblicitario permanente della propria azienda.

Ora per carità, i tifosi hanno ormai da un bel pezzo superato l’età dell’innocenza e dell’ingenuità: è beninteso che nel calcio si debbano e si possano muovere tutta una serie di interessi economici e politici trasversali, a cui tutti, volenti o nolenti hanno fatto il callo, però ecco, lottizzare commercialmente ogni cm quadrato delle maglie, degli stadi, persino delle denominazioni e dei marchi sociali, non è che lascia tanto intatto del più elementare istinto del singolo tifoso o della comunità locale a sentirsi rappresentati spiritualmente, se possiamo usare questa licenza.

«Te la ricordi la storica vittoria all’Allianz?»
«Ehm, no! Quale intendi? Quello di Torino, di Nizza, di Monaco, di Londra, di San Paolo, di Vienna?»
Chiaro che i tempi del mecenatismo fine a sé stesso sono finiti, se mai siano esistiti, però anche vivere un calcio così spersonalizzante spinge in direzione esattamente contraria alla fidelizzazione che lorsignori vorrebbero, in barba ai geni del marketing che ne inventano sempre una per invertire inutilmente il trend.

Tornando ad Uerdingen, al di là del non confortante curriculum messo insieme in Toscana dalla Noah, al di là del concetto di multiproprietà, che già di suo mortifica persino la possibilità dei tifosi di sognare un futuro migliore, incastrati come sono in un tale scacchiere di interessi interdipendenti, quello che preoccupa di più e che ha spinto gli ultras della squadra tedesca a protestare, è proprio la possibilità di diventare l’ennesimo “Noah Football Club” della collezione armena.

Laconico eppur carico di significato lo striscione degli Ultras Krefeld: «Non siamo un giocattolo». Della “Noah Football Group” si intende nella fattispecie. Non lo sono nemmeno i tifosi o la squadra del Siena. Non dovrebbe esserlo nessuno. Mai.

Fuor da ogni retorica, ci mancherebbe: che ognuno muova i suoi trenta denari come meglio crede, ma tale orpello dell’ostentazione e dell’imposizione del marchio aziendale in ogni salsa, è una pacchianata egotica che non ha molto a che fare con l’imprenditoria. Ha piuttosto i crismi di quella propaganda trash che dalle televendite delle batterie di pentole sulle tv commerciali, è diventato poi un modus operandi costante che ha invaso ogni angolo della nostra vita. E di cui avremmo fatto tutti volentieri a meno.

Less is more, un po’ di sobrietà signori. E giù le mani dalle identità sportive e culturali del calcio. C’è rimasto solo quello. Lasciatecelo.

 

Matteo Falcone